Anteprime Cinema
LA FUGA DELLA MANO DESTRA
Nel lungometraggio Handy, le avventure di una mano destra in un apologo del regista siracusano Vincenzo Cosentino
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Per quanto penalizzato da un’autodistribuzione, che in Italia nei limita la visione a pochi schermi – come è accaduto nel caso del multiplex CineStar di San Giovanni La Punta (Catania), dove comunque ha fatto registrare in pochi giorni migliaia di presenze – Handy (2016), opera prima autoprodotta del siracusano Vincenzo Cosentino (che accompagna personalmente il film, firmando locandine e cartoline), è già un caso cinematografico che ha travalicato i confini nazionali, provenendo dalla Mecca del cinema, gli amati-odiati USA dove il film è stato già presentato in una decina di festival, ottenendo ovunque lusinghieri consensi e prestigiose nomination.
Low-budget costato appena 13 mila euro (lo dice lo stesso regista nello straordinario backstage-confessione visibile su Youtube, Vincenzo Cosentino Hands Making Of), l’idea di farne un lungometraggio parte in realtà dal corto Being Handy, che, selezionato da Festival di tutto il mondo, ha permesso a Cosentino di catturare le immagini di molti paesi poi utilizzate per il film, consentendogli in tal modo di annullare le spese di viaggio, vitto e alloggio, tutte a carico degli stessi Festival.
Perfettamente bilingue (è vissuto per lunghi anni in Australia), Cosentino ha immaginato e realizzato in quattro anni di faticosissimo lavoro, durante i quali ha praticamente ricoperto tutti i ruoli (produttore, regista, soggettista, sceneggiatore, operatore, montatore, direttore della fotografia…), la storia surreale di una talentuosa mano destra che, rimasta inattiva perché il bimbo che la possiede decide di diventare scrittore scegliendo la mano sinistra, durante una notte fugge per dimostrare al mondo il suo valore.
Resasi autonoma, la mano vive (e fa vivere allo spettatore) le emozioni di un essere umano: lavora, viaggia, s’innamora di un’altra mano e, guidato da uno scrittore famoso a cui si rivolge (Franco Nero), affina il suo stile. Handy diviene presto un acclamato, bizzoso, divo hollywoodiano. La sua ribellione provoca però un’endemica rivolta delle altre mani contro gli esseri umani, ma a questo punto lo stesso Handy (come Chaplin del Grande dittatore) lancerà un accorato appello antibellico per una ritrovata pace universale.
L’apologo morale è compiuto e la stratificazione delle chiavi di lettura, sparse a iosa, ancor più si problematicizza fino a fare di Handy una metafora dalle mille significazioni. Cosentino, vero e proprio uomo-cinema (caso anomalo, paragonabile al coreano Kim Ki-duk), ha riversato sulla sua mano-alter ego tutta la passione, la caparbietà, gli scoramenti e le esaltazioni, d’un giovane regista talentuoso che con grande umiltà ha vinto una scommessa impossibile, portando a compimento con strabiliante abilità tecnica – aiutato una troupe ridottissima (musicista, tecnico del suono, costumista) e un cast di attori non professionisti scelti tra amici e parenti (ad eccezione di Franco Nero) – un’impresa davvero titanica.
Mostrando che la sua Sicilia non è solo mafia, corruzione, disoccupazione, disperazione e miseria, ma altresì volontà di riscatto (la ribellione delle mani) sotto un sole abbacinante che allontana le tenebre, rischiarandone le stupende bellezze naturalistiche e paesaggistiche fotografate dal film.