Marco CAMERINI – In memoria di un Maestro: ricordo di Giorgio Bàrberi Squarotti

 

La testimonianza


 

IN MEMORIA DI UN MAESTRO: RICORDO DI GIORGIO BÀRBERI SQUAROTTI

Critico, accademico e poeta, Bàrberi Squarotti è scomparso all’età di ottantasette anni, nella sua Torino dove era stato a lungo docente universitario.

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Ho avuto l’opportunità di incontrare il prof. Giorgio Bàrberi Squarotti poco prima della scomparsa, nella sua Torino composta e austera, per ringraziarlo degli apprezzamenti a un mio contributo montaliano: gravemente provato ma lucidissimo, affabile e risolutamente animato da intransigente passione per il fatto letterario – che, unita al rigore e alla fine sensibilità interpretativa, ne ha fatto uno degli esponenti più prestigiosi della critica letteraria militante ed accademica del ‘900 – era in grado di scandire a memoria le cesure metriche di una lirica di Ossi di seppia o rievocare l’indimenticabile Mario Costanzo (il suo Rebora teso e straziato…) che, nel 1960, sostenne la pubblicazione per Scheiwiller della raccolta poetica d’esordio La voce roca. Perché il professore fu anche autorevole lirico – lui che la poesia del ‘900 l’ha letta, “sentita” ed interpretata per generazioni di studenti – e si accingeva a congedare l’opera omnia in versi curata da V. Boggione.

Impossibile anche solo accennare alla produzione saggistica di uno studioso che non ha, di fatto, escluso nessun classico dai suoi interessi, come conferma il recente, ponderoso testo pubblicato nel 2016 per i tipi della Rondine Il sublime e il comico con sondaggi riguardanti Dante, Petrarca, Boccaccio, Marino, Ariosto, Tasso, che affianca Le voci e il silenzio (La Rondine, 2016) dedicato alla ripresa degli studi novecenteschi, per molti aspetti i più straordinari e preziosi: dalle definitive acquisizioni sul “grado zero” della scrittura crepuscolare – dimesso inventario “raso terra” (per dirla con Saba) di attimi e ambienti senza qualità, evocati con prosaico tono minimalista (eversivo per il tradizionale codice poetico italiano) – a quelle sullo sperimentalismo, magari “inconsapevole”, di Pascoli che – per certi aspetti condividendo con i Crepuscolari una poetica fondata sulla «democrazia degli oggetti» (Contini) – li connota di una pregnante ed allusiva valenza simbolica, voci flebili ed angosciose di un “oltre” tragico, “occhi esterrefatti” ostinatamente spalancati sul mistero irrisolto della (di una) morte, al di là di «invisibili porte/che forse non s’aprono più».

Dalle analisi inerenti la centralità del mito classico nella produzione montaliana (Orfeo, Euridice e Teseo correlativi emblematici della tensione dialettica verso la ricerca/superamento del varco per approdare “nel mezzo di una verità” – magari…voltandosi – e continuare, nonostante tutto, a “tenere il capo di un filo” che aiuti a non perdersi/annullarsi nel labirinto esistenziale) alle fondamentali verifiche sulla modernità di D’Annunzio che proprio Montale invitava ad “attraversare”, ammesso non lo si fosse già (in)consciamente fatto, «legittimamente contiguo, per il connaturato senso del mistero, alle coeve esperienze del Simbolismo europeo, sia pure per un tempo alquanto breve. In questo senso nessuna rivalità fra lui e Pascoli».

Altro che estetismo vacuo e misogino o scaltre, provinciali riletture della produzione d’Oltralpe. Certo se in questa sede dovessi ricordare, fra gli innumerevoli, un saggio rappresentativo, citerei quel Gli inferi e il labirinto. Da Pascoli a Montale cui – nell’immaginario collettivo, a prescindere dall’assoluto spessore dello scritto – il nome di Bàrberi Squarotti appare più di altri legato.

Insieme al suo magistero unico e ai definitivi esiti prodotti – vi ho sommariamente accennato e, del resto, altro è lo spirito di queste insufficienti parole – rimarranno di lui la signorilità, la disponibilità cortese e delicata, il legame profondo con le amate Langhe, il tenace attaccamento agli affetti familiari (testimoniato da uno splendido frammento del 1989 in occasione della morte della madre: «Il mio sogno delle Langhe, di vita e letteratura, si prolunga, da allora, fino a quell’esiguo spazio di tombe infinitamente serene»), la strenua fiducia nei valori della Letteratura «a testimonianza/d’una fede che fu combattuta/d’una speranza che bruciò più lenta/di un duro ceppo nel focolare» (Montale, Piccolo testamento).

Con Bàrberi Squarotti scompare una fra le ultime voci di una stagione critica per certi versi irripetibile del nostro Novecento che annovera Getto (il maestro riconosciuto) e Debenedetti, Contini e Binni, Raimondi e Giachery (ancora nel pieno della sua attività) – per citare solo alcuni nomi che volutamente affianco, al di là delle rispettive metodologie di approccio certamente differenti, se si esclude il comune superamento crociano – tutti egualmente, miracolosamente capaci di cogliere, sempre e comunque, nelle opere analizzate un universo nascosto e dinamico di segni e significati mai esclusivamente autonomo, secondo le tendenze di uno strutturalismo radicale, tanto meno avvilito da uno storicismo dogmatico ed altrettanto auto-referenziale. Nulla “solo” con il testo, nulla “senza” il testo. Soprattutto senza la dedizione e il rispetto per un esercizio ermeneutico che in questi maestri diviene scoperta e conoscenza di sé, prima che dell’autore. Per tutti noi.

Nota di Cinzia Baldazzi

Ringrazio Marco Camerini, collega e compagno di studi universitari, per il brano estremamente evocativo su Squarotti, grande accademico e illustre poeta.

In merito a Mario Costanzo Beccaria, ho avuto la sorte di averlo incontrato negli anni trascorsi alla Sapienza di Roma, dove insegnava, appunto, Storia della critica letteraria. Dato il mestiere che avrei intrapreso, anche allargandomi al giornalismo, suppongo l’avranno deciso le Muse (e sarebbero, se possibile, da ringraziare).

Da Bàrberi Squarotti, al contrario, non avendo avuto la fortuna di conoscerlo di persona, ho recepito la tecnica di penetrazione dello spazio tra significante e significato che, considerato dallo strutturalismo un dato scontato, anzi laterale, è stato invece da lui eletto protagonista di ogni analisi testuale, dentro al testo e al di là di esso, con risultati inediti.

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