Fabrizio TRAINITO – “Prigioniero” (racconto breve)

 

Io scrivo


PRIGIONIERO


(il disegno è dell’autore)

 


Buio. Non fuori, solo dentro.

Il sole accecante penetra dalla finestra e inonda di luce il tavolo. Sono seduto, con una penna in mano e un foglio davanti. Ma non ricordo perché. Non ricordo cosa stavo facendo. Non ricordo niente.

Non capisco nemmeno dove mi trovo. Da come sono vestito e dall’arredamento della stanza penso di essere in qualche clinica. Mi starò curando, forse proprio la memoria. Anche perché per il resto sto bene…

Poi trovo il mio appunto. L’ho scritto chiaramente io, riconosco la grafia: «progetto mare». E… ahimè ricordo.

Sono rinchiuso qui da non so quanto. Ogni volta che ricordo sento sempre più l’oppressione di questo luogo. Mi vengono a trovare di tanto in tanto, ma per il resto del tempo sono in carcere. Non è poi così male qui. Ci sono tante persone di là, in sala. Siamo una comunità, una colonia di vecchi. Vecchi che nemmeno si vogliono incontrare perché ognuno ricorda all’altro la condizione comune. E la tristezza dilaga senza dighe.

Ma basta ora. Fin tanto che la memoria funziona devo lavorare sul progetto. Prima del buio.

Servono scarpe. Qui non ce le lasciano. Siamo tutti in pantofole. Così non possiamo andarcene. E vestiti. Soprattutto un cappotto o una giacca a vento. Per i pantaloni non è necessario. Quelli del pigiama già sembrano una tuta.  Scrivo questi appunti qua e là nel foglio. Devo essere attento ai carcerieri e far finta che siano parole buttate a caso. Non devono sospettare. Solo io, dopo il buio, saprò ricollegare le tante mollichine e ritrovare la strada.

Le scarpe le chiedo a mio nipote. Gli dirò che i miei vecchi piedi sono tutti doloranti e per me sarebbe un sollievo poter avere un paio di scarpe da ginnastica. Un nome e la scritta «corsa» mi ricorderà di richiedere le scarpe da corsa, mentre gli altri spioni non capiranno nulla. Verranno a leggere il mio foglio, ma non capiranno mai i miei piani.

 

Buio. Chi mi ha spento la memoria?

Che ci faccio qui con questo foglio in mano…?

Anche questa volta è stato il foglio con i miei appunti ad aiutare la mia memoria stanca. È bastato leggere la parola «mare» per ricordare. Al mare sono diretto e forse là mi aspetta la cura per questa mia malattia. La colpa è del silenzio, l’assenza di un ritmo, di un rumore di fondo. Questa clinica è silenziosa, ma per me non è un valore. Per me è la causa di tutto. Nel silenzio mi perdo e tutto si appanna e scompare. Il silenzio è il nulla. È la morte. È la cancellazione di tutti i miei ricordi. Il mare con quel suo gorgoglio, con il tonfo sordo delle onde sulla battigia, il vento che soffia sul volto con fragore e tutto annaffia di salmastro…

… è quel suono che rinnova il mio pensiero; sarà quel mormorio di fondo a far funzionare bene la mia mente, a rinnovare e ad alimentare ad ogni onda la mia memoria… è quella la mia salvezza.

Ma ora è meglio mettersi al lavoro. Non so quanto reggerò lucido in questa coltre di silenzio.

Per la giacca ci vuole una ragione più raffinata e un diverso interlocutore, altrimenti si insospettiscono. Non è facile raccogliere tutto il materiale senza destare sospetti. Potrei chiedere a mia figlia di poter vedere la vecchia giacca a vento della squadra di basket. Così mi posso ricordare dei vecchi tempi passati in campo a cercare di gettare la palla in quel maledetto canestro. Sì, le questioni legate ai ricordi funzionano sempre. Poi con la memoria che ho…! Meglio appuntare tutto. Una parola qua, una là, un paio di frecce ed è fatto. Ma fatto cosa…?

 

Vuoto. Zero di zero. Una penna in mano e un foglio davanti. Qualche appunto, altro non ricordo.

Anzi non so neanche dove mi trovo e perché.

Eppure qualcosa di quello che ho scritto deve avere un senso. Solo qualche parola qua e là, delle frecce, una parola in alto ben sottolineata, «mare». Una parola basta da sola, come fosse una password…

… a poco a poco ricordo. E capisco anche dove sono arrivato in questo folle progetto.

Per muoversi serve denaro. Non molto. Quanto basta per un biglietto d’autobus o per un taxi. Per il denaro potrei chiedere a mio figlio di rivedere la collezione delle monete d’Europa che feci quando introdussero l’euro. Non vale nulla, ma è denaro contante immediatamente utilizzabile. Quasi quattro euro per paese sono una bella sommetta. Per mio figlio sono pochi spicci e non avrà problemi a portarmeli. Devo solo riuscire ad arrivare ad una stazione, poi da lì mi muoverò senza biglietto. Tanto i controlli sono rari e non badano ad un vecchio smemorato.


«Ora di cena!».

Sulla porta l’inserviente mi guarda con apprensione. Sono sicuro che appena uscirò tornerà a leggere il mio foglio. Non ci capirà nulla. Va bene così per oggi. Domani si ricomincia.


Mi sveglio e il sole è già alto in cielo. Il letto non è quello di casa. È ad una sola piazza. Non capisco. Eppure non avevo in mente viaggi. Mi guardo intorno. Medicine sul comodino. L’arredamento è semplice e pulito. Sono in una clinica.

Un foglio sul tavolino sotto una penna. È bianco. Non capisco. Un inserviente entra e mi augura il buongiorno. Mi dice che oggi ho un foglio nuovo di zecca sul quale scrivere tutto quello che voglio: l’ha cambiato perché quello di ieri era già pieno di scritte. Non capisco. Mi siedo al tavolo per la colazione e osservo carta e penna. Mi viene in mente una parola, non so perché, e la scrivo: «mare».

Chissà…

Author: admin

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