Umberto ROSSI, Furio FOSSATI- Cinema Recensioni brevi (“Lasciati andare”, “Moglie e marito”)

 

Cinema Recensioni brevi

 

 

DUE FILM RECENTI

Lasciati andare

Lasciati andare

Regia Francesco Amato
Sceneggiatura  Francesco Bruni, Davide Lantieri, Francesco Amato.
Interpreti   Toni Servillo, Verónica Echegui, Carla Signoris, Luca Marinelli, Pietro Sermonti, Carlo Luca De Ruggieri, Valentina Carnelutti, Giulio Beranek, Vincenzo Nemolato, Giovanni Storti.
Prod.  Italia 2017

Il trentanovenne torinese Francesco Amato è arrivato al suo terzo lungometraggio di fiction – nel campo del documentario ha diretto titoli interessanti – ma non dimostra di avere acquisito uno stile interessante o, quantomeno, migliore professionalità. Ma che ci faccio qui! (2006) era un’anonima commedia giovanilistica, Cosimo e Nicole (2011) si occupava del G8 a Genova: nessuno dei due aveva convinto.

Qui, pur disponendo di un protagonista del livello di Toni Servillo, confeziona un mediocre film che vorrebbe essere comico, costringendo l’attore a interpretare un personaggio poco credibile e mal definito, taccagno ed ebreo, incapace di mettersi in gioco, estremamente pigro, assolutamente poco positivo. Il risultato finale, se si valuta la realizzazione tecnica e narrativa, è molto deludente mentre se si giudicano gli interpreti – anche i vari comprimari tra cui il Giovanni Storti di Aldo, Giovanni e Giacomo – il livello raggiunge una buona sufficienza.

I limiti nascono soprattutto da una sceneggiatura debole, incapace di fornire un minimo di spessore a un film che non regge i 100 minuti di durata. Pochissime le trovate, inesistenti i colpi di scena, poco convincente la descrizione della grigia vita di uno psicanalista che fa trapelare troppo spesso nell’ambito del suo lavoro la sfera della vita privata.

Toni Servillo è messo a dura prova, anche fisica, in scene in cui gli si chiedono corse forsennate ed esercizi fisici abbastanza invasivi ed impegnativi. In queste scene forse si sorride, ma sono talmente ripetitive che alla fine stancano. Poco credibile la personal trainer spagnola che finge di innamorarsi di lui per sfruttarlo per sue varie esigenze, da barzelletta il fidanzato con problemi psichici rinchiuso in carcere dopo un furto a una gioielleria, macchiette e nulla più i vari pazienti dello psicoanalista.

Come se tutto questo non bastasse, la moglie da cui vive separato – ma hanno diviso in due il loro appartamento e lei gli cucina da mangiare e gli fa il bucato – dice di essere psicologa ma nulla lo fa capire. Oltretutto con la scelta sbagliata dei compagni per sostituire il marito che sembrano più da ragazzina che non da sessantenne. Inesistente anche il figlio della coppia titolare di un ristorante ebraico. Proprio il racconto, in cui si cita molto questa religione riducendola a un insieme di luoghi comuni, dà fastidio dimostrando il poco interesse da parte degli sceneggiatori nel voler creare qualcosa di credibile.

Elia è uno psicanalista frustrato che cerca di risparmiare su tutto, dal denaro alla fatica. E’ un pigro anche sul lavoro, si addormenta mentre i pazienti raccontano i loro problemi, fa una vita triste e come unico momento mondano ha lo spettacolo settimanale all’Opera – anche qui si addormenta – a cui assiste assieme alla ex moglie. Mangia dolci mentre ascolta chi si alterna sul lettino e perde il peso forma rischiando di avere problemi cardiocircolatori.

Convinto dal suo medico curante, va in palestra, è poco soddisfatto ma qui incontra una spagnola che ben presto diviene la sua Personal Trainer. La ragazza nasconde molti segreti e lo coinvolge nella sua vita privata, compresa la gestione della figlia di colore. Lui piano piano si abitua a lei e, forse, se ne innamora.

 

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Moglie e marito

Moglie e marito

Regia  Simone Godano
Sceneggiatura  Carmen Roberta Danza, Giulia Louise Steigerwalt su soggetto di Giulia Steigerwalt, Carmen Danza, Daniele Grassetti (collaborazione).
Interpreti  Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak, Valerio Aprea, Sebastian Dimulescu, Gaetano Bruno, Francesca Agostini, Paola Calliari, Marta Gastini, Flavio Furno.
Prod.  Italia 2017

Nella sua opera prima il quarantenne romano Simone Godano si avvale di due interpreti che fanno di tutto per coprire gli inevitabili momenti meno riusciti ma a loro è chiesto fin troppo, tanto da dare una prova sopra le righe che, alla lunga, stanca.

Nel 2010, assieme al fratello Leonardo, aveva diretto il corto Niente orchidee interpretato da Beppe Fiorello e presentato al Festival di Venezia con discreto successo, poi si era cimentato nel mondo degli audiovisivi fino a trovare due produttori coraggiosi’, Matteo Rovere e Roberto Sessa, che gli hanno permesso di realizzare questo suo sogno. Con l’apporto distributivo della Warner Bros Italia, molto attiva sul nostro mercato con accordi interessanti con i gestori dei locali, ha raggiunto la terza posizione in classifica al Box Office.

Un vero peccato che film più interessanti ed originali, come La mia famiglia a soqquadro di Max Nardari, non appoggiati dai potenti del cinema siano passati sullo schermo velocemente senza che nessuno se ne sia accorto. Moglie e Marito ha molte somiglianze con tanto cinema soprattutto statunitense – non a caso la sceneggiatrice Giulia Louise Steigerwalt è nata oltreoceano e probabilmente conosce bene quella realtà – ma, in coppia con l’altra new entry Carmen Roberta Danza, non ha aggiunto niente di nuovo, originale, interessante alla sceneggiatura. Ci si domanda perché ai tre, per la prima volta attivi nel lungometraggio, non sia stato affiancato qualcuno di maggiore esperienza che avrebbe probabilmente aiutato a rendere migliore il film.

La scelta di fare parlare la donna con animo d’uomo con un linguaggio volgarmente al maschile è una forzatura, come la scena in cui si siede spalancando le gambe facendo vedere le mutande: non ci sembra che gli uomini si mettano in quella posizione quando si accomodano. E ogni movimento fatto dalla volenterosa e a tratti brava Kasia Smutniak è esagerato, inutilmente farsesco. Pierfrancesco Favino è bravissimo nel rendere le movenze di un gay, ma poco assomiglia ad una donna sia nel parlare che nell’interpretare i normali momenti della vita di tutti i giorni. Manca l’indicazione del regista – oppure tutto doveva essere volutamente grottesco – nel creare personaggi credibili.

Ai comprimari è chiesto di limitarsi ad essere scontate macchiette, alle musiche il compito di collegare varie scene. Oltretutto, la scelta della macchina del pensiero con l’uso di lampadine invece che di elementi della più attuale tecnologia può essere divertente ma non se diviene centro di troppe inquadrature. Una coppia in crisi va da un consulente matrimoniale per tentare di salvare il salvabile.

Lei è una giornalista che diviene anchor woman, lui un frustrato neurochirurgo che studia la possibilità di leggere il pensiero utilizzando macchinario da lui inventato ma che funziona poco. Lo porta a casa, collega il suo cervello con quello della moglie e, per un salto di tensione, sembra che si invertano le identità: complicazioni.

 

*Ringraziamo U. Rossi e F. Fossati, colleghi di Cinemasessanta e curatori di Cinemaeteatro.com

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