Marco CAMERINI – Anime sole, di notte (il romanzo postumo di Kent Haruf)

 

Scaffale

ANIME SOLE, DI NOTTE


Affinità d’anime e metaletteratura in Le nostre anime di notte, ultima opera dello scrittore statunitense scomparso tre anni fa.

Per Le nostre anime di notte (NNE, 2017), opera postuma di Kent Haruf (1943-2014), nessuna recensione dettagliata o analisi narratologica di trama e caratteri. Temiamo seriamente di compromettere l’intimo, struggente afflato poetico che percorre, delicato ed ipnotico, le pagine di un romanzo che va vissuto come un’unica, intensa emozione. Non ne varrebbe la pena se le sfumature di una prosa lirica limpida e definitiva andassero anche minimamente perdute nel tentativo, appunto, di…spiegarle.

Come per le “affinità d’anima”, anche per quelle letterarie che – spesso inattese – scaturiscono fra testo e lettore, avviene “che non giungano/ai gesti e alle parole ma rimangano/effuse come un magnetismo. È raro/ma accade” (Montale, Ex-voto) e certo l’ultima fatica dell’autore della Trilogia della pianura – sintesi esemplare della sua poetica “precisa e asciutta epopea della working class americana” (dalla nota del traduttore F. Cremonesi) – consente il miracolo: la storia di due anime sole e non più giovani che si sfiorano dopo essersi conosciute (probabilmente desiderate) da sempre va anzitutto “percepita” da quanti si troveranno a sfogliare la propria di anima, prima che pagine impeccabilmente composte in uno stile paratattico mai superfluo o retorico, con disposizione grafica spesso “verticale” dei dialoghi senza soluzione di continuità (possono ricordare quelli de La strada di C. McCarthy).

Addie, settantenne vedova ancora attraente e polo forte della coppia, propone con dignità e coraggio a Louis, insegnante anch’egli vedovo (un’amante alle spalle), di trascorrere le notti insieme perché “sono le notti la cosa peggiore”. Tutto qui, il plot narrativo è concluso, ma è già molto. Dopo un mirabile incipit in medias res che la fa supporre già iniziata in un ipotetico spazio narrativo anteriore ed esterno al libro (“E poi ci fu il giorno in cui Addie Moore fece una telefonata a Louis Waters”), si avvia una vicenda percorsa da reticenti pudori, comprensibili imbarazzi, inevitabili chiacchiere di un paese/mondo – ancora l’immaginaria cittadina di Holt, seriale in Haruf – che non accetta lo scandalo di chi si ostina a nutrire fiducia nell’amore. O, forse, ne sente l’urgenza e l’importanza al di là di limiti anagrafici (limiti ai Sentimenti?) e ipocrite convenzioni.

Vicissitudini sommessamente scandite da gesti impacciati, imbarazzo (in)confessato di chi ha vissuto un intenso rapporto familiare interrotto dalla morte del coniuge, fatica/desiderio di lasciare una solitudine dolorosamente abituale (come non citare il joyciano “Un increscioso incidente” dei Dublinesi?!), colloqui esitanti barattati prima di (fingere di) dormire con le mani intrecciate, cene rubate e attese con malcelata ansia adolescenziale, remore legate al “Che diranno di noi?” (sempre più determinata e serena la donna, comunque) e all’opportunità di entrare nella casa dell’altro dall’ingresso principale, gioiose fughe in luoghi che non si pensava più di frequentare, finestre spalancate per guardare le stelle. Quando ci sono, meglio se la prima notte.

Comunque nessun facile idillismo, nessuna patetica ed improbabile favola in un “racconto lungo” alla fine duro e non consolatorio, impreziosito da una felice ed inaspettata apertura metaletteraria (“Potrebbero scrivere di noi. Ti piacerebbe? Non mi va di finire in un libro, rispose Louis” p.131): semmai, in aggiunta al resto, anche il conflittuale e mai evitato rapporto dei due protagonisti con i rispettivi figli che, segnati da scelte sbagliate e incapaci di sognare ed illudersi, non vogliono accettare – loro sì già vecchi –  “una relazione fra anziani”. Magari semplicemente consapevoli di non poterselo permettere, succubi di un egoismo cinico ed opportunista.

Nell’affetto di un nipote la disarmata, salvifica risposta in grado di conferire (forse) senso al tutto. Ma stiamo venendo meno alla promessa di “non” scrivere su un libro che consigliamo empaticamente di leggere d’un fiato e allora ci fermiamo qui…

Kent Haruf

Le nostre anime di notte

(traduzione di F. Cremonesi)

Milano, NNE, 2017, pp.171, € 17,00.

 

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