Dorme sulla collina
EVGENIJ ALEKSANDROVIČ EVTUŠENKO
All’età di 84 anni è morto il poeta russo da tempo residente negli Stati Uniti.
Camminavamo, camminavamo sempre
senza pensare
a un attimo di sosta
costeggiando enormi imbuti,
scavati dalle bombe,
attraversando immense chiazze
di terra arsa
dagli incendi.
Barcollava il cielo dell’anno ’41
puntellato soltanto da colonne di fumo.
(La compagna di viaggio)
Nel 1953 scriveva così il poeta russo Evgenij Aleksandrovič Evtušenko, sul quale purtroppo, ieri, il cielo ha smesso di barcollare, perché lo ha accolto in sé all’età di 84 anni. Deceduto in ospedale a Tulsa, in Oklahoma, per arresto cardiaco, aveva espresso il desiderio di essere tumulato a Peredelkino, il “villaggio degli scrittori” vicino a Mosca. Lo ha annunciato la moglie Maria Novikova: «È morto circondato dai suoi cari, in modo sereno, nel sonno».
Candidato al Nobel nel 1963, suoi sono anche alcuni romanzi e opere teatrali, composti durante una vita densa di prese di posizione coraggiose, ma anche conciliatorie, nei confronti delle diverse situazioni affrontate dal suo paese. Al riguardo spiegava:
Certo, non potevo essere, alla mia età, quel che si dice
un uomo vissuto,
ma quando ebbi vent’anni
mi misi a considerare da capo ogni cosa:
quello che dissi
e dire non dovevo
quello che non dissi
e dire dovevo.
(La stazione di Zimà)
Continuava confessando di essersi convinto che l’esistenza fosse stata «troppo circospetta», e «avendo troppo poco pensato, sentito e voluto», in simili momenti fosse necessario sempre un mezzo, per riacquistare forza e nuove idee: mantenere, riprendere contatto «con la terra sulla quale un tempo andavo a piedi nudi sollevando la polvere».
Condannò l’invio dei carri armati sovietici in Cecoslovacchia e sostenne la rivoluzione cubana. Antagonista del dispotismo sovietico, per un certo periodo è stato uno degli autori simbolo di apertura culturale seguita all’arrivo al potere di Nikita Kruščëv e alla destalinizzazione. Ma se ne andò nel ’91 negli Stati Uniti, per insegnare all’Università di Tulsa, mentre l’egemonia dell’impero sovietico si andava dissolvendo in tante repubbliche e la Russia tornava a chiamarsi Russia.
Intervenne al Festival Internazionale dei Poeti, alla fine di giugno del 1979, sulla spiaggia di Castel Porziano nei pressi di Roma. Ahimé, non partecipai perché non ho mai nutrito grande affinità con la poetica di Dario Bellezza e Dacia Maraini, protagonisti d’onore dell’evento (e pure, nella maturità critica, non saprei illustrarne esattamente il motivo, in quanto non me ne sono più occupata). Alcuni amici raccontarono, del resto, come proprio i due artisti fossero vittime della contestazione del pubblico assiepato sulla spiaggia.
La ribellione proseguì, sembra, urlando «Siberia!» all’apparire di un ospite russo, al punto che la delegazione internazionale valutò la possibilità di rinunciare a esibirsi. Nel poema La stazione di Zimà (1956), Evtušenko scriveva a proposito della Siberia:
Desideravo tornare ai noti pini
testimoni di quei lontani tempi
quando in Siberia a causa della rivolta contadina fu mandato,
insieme con altri come lui,
un mio bisnonno.
Qui
in mezzo al fango e alla pioggia
da una remota lontananza
con i bimbi e le mogli, li cacciavano
in regioni selvose, d’alberi intricati come ragnatele,
miseri ucraini
del governatorato di Zitomir.
Essi erravano, cercando di dimenticare quelle cose
cui tiene ognuno più che alla sua vita”.
(La stazione di Zimà).
Nella terza serata, tuttavia, pare regnasse un innaturale e quasi magico silenzio: muti e storditi, i contestatori ascoltarono i versi di Evtušenko, il rap di LeRoy Jones, il canto di Allen Ginsberg e Peter Orlovsky. Non ho mai pensato, nemmeno all’epoca, il pubblico discriminasse poesie manipolate dall’errore, da altre sviluppate invece nel giusto. Pertanto, saluterò l’ultimo grande poeta contemporaneo di una grande nazione, una grande comunità del Novecento, con alcune sue considerazioni “in versi” al termine di una lezione:
Dopo ogni lezione, sempre, in mille modi
ti contendono tutti, ti importunano.
Da bocche di ragazzi ascolti
complimenti pieni di dolciastre
lusinghe. Di cose buone nella vita
ce ne sono tante: gli appuntamenti,
i fiori, il teatro… manca soltanto
ciò che vorresti tu – manca,
la cosa essenziale.
(Dopo ogni lezione).
Siamo grati a Evtušenko per aver fatto del tutto allo scopo di renderne l’assenza meno dolorosa.
Le traduzioni dal russo sono di Alfeo Bertin (1962)