Ruben SABBADINI – “Insignificante” (racconto breve)

 

 

Io scrivo

 


INSIGNIFICANTE




Un giorno me ne andavo per via pensando ai fatti miei. A un tratto mi si avvicina un tale che mi fa «lo sa che lei è proprio brutto, anzi peggio, insignificante. Lo sa quanti sono come lei? Milioni. Non ha personalità, è banale». Rimango interdetto, difficile era replicare; quella era la sua impressione, legittima, non c’è che dire, ma perché esplicitarla? Quante volte incontriamo sulla nostra strada cose brutte, insignificanti e persino dannose e mica ce la prendiamo con gli architetti, con gli amministratori del passato, con le mamme di tutte le brutture che incontriamo? E poi il bello non è soggettivo?

«Mi scusi, Signore – replico – rispetto la Sua opinione, ma in che modo posso alleviare la Sua sofferenza?». E lui: «Guardi non me la prendo neanche con lei, lei è insignificante ma tant’è, me la prendo con chi le permette di andare in giro. Non si accorgono che ci danneggiano tutti? E per primi loro stessi? Chi è disposto a votarli se permettono un simile scempio?»

«Gentile Signore, cerco di seguire il Suo ragionamento. Lei ritiene che le nostre Autorità dovrebbero interdire me e quelli come me, che a Suo dire sono milioni nella loro insignificanza, ad andare per via, per il decoro della nostra bella città e per evitare che Lei, e quelli come Lei che, presumo, siano molti più che milioni, ne siano disturbati. Questo andrebbe nell’interesse di tutti, e delle Autorità per prime, che apparirebbero come buoni amministratori. È così?» «Certo, è così. Qualcuno deve fare qualcosa per impedire la deriva».

«Quello che Lei dice, caro Signore, è già stato fatto altrove e la Storia lo ricorda. Furono interdetti, prima le loro opere platealmente bruciate, poi portati altrove e da lì scomparsi. Il decoro delle città fu salvo. Per un po’. Sa, qualcuno era sfuggito, qualcuno si era nascosto, qualcun altro aveva trovato potenti Alleati e, alla fine, gli Amministratori di allora furono destituiti. Ciò fu sufficiente a che quella vicenda fosse monito perpetuo per non predicare e, men che meno, praticare presunte opere di “igiene del mondo”».

«Ma veniamo a Lei. Perché lo fa?». «Perché sono un viandante – replica – e ho tutto il diritto di guardare e giudicare». «Certo, ne ha tutto il diritto: la facoltà di giudizio è inalienabile, ciò che Le contesto è la Sua potestà ad emettere sentenze e chiedere alle Autorità che le rendano operative. Per arrivare a tanto bisogna aver fatto studi specifici, essersi sottoposti a un severo concorso e, infine, aver atteso a un tirocinio lungo e impegnativo. Se accettassimo che maggioranze chiedano e attengano provvedimenti, men che meno restrittivi, nei confronti di minoranze saremmo fuori della nostra civiltà giuridica come, purtroppo, è già successo. Ha presente Montesquieu, Tocqueville? Ricorda il Voltaire di “io non sono d’accordo in niente con quanto affermi ma mi batterò fino alla morte a che tu lo possa dire”?»

Mi guarda torvo, contrariato, avrebbe voluto rispondere, ma esitava. Avrebbe di gran lunga preferito una risposta irata, magari un alterco o addirittura una zuffa che mi avrebbe reso presto suo complice. Ragionare, invece, di fondamenti della democrazia, di Padri nobili e di conseguenze intrinseche a semplici atti quotidiani l’aveva un po’ spiazzato. Perché si fa filosofia anche comprando le mele al mercato, anche, e molto di più, parcheggiando l’auto o in fila alla Posta. Il corpo nostro, la nostra voce, il nostro sorriso fanno filosofia e, anche se non possiamo pretenderlo da un adolescente, potremmo invitare gli adulti a considerarlo.

Dopo un attimo d’imbarazzo riprende: «l’avevo giudicata insignificante e tale è ma, ora che la conosco meglio, trovo la sua reazione arrogante: mette i puntini sulle “i”, dice quello che si deve e non si deve dire e fare… Sono un uomo libero, posso pensare quello che voglio e criticare chi mi pare. Staremmo freschi se dovessimo avere regole anche in questo». Non replicai. Lo ritenni, purtroppo, inutile; mi limitai a salutarlo con: «andare per via per invitare gli altri a non fare altrettanto è sostituire un piacere sano con uno perverso» che, se non diceva tutto, diceva almeno l’essenziale.

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