Giuseppe ARDIZZONE- Avanti con il confronto (Pd e dibattito congressuale)
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UN AUSPICIO, AVANTI CON IL CONFRONTO
Osservazioni relative al dibattito congressuale appena avviato con l’Assemblea Nazionale del Partito Democratico del 19 febbraio
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Molti ritengono che l’apertura della fase congressuale, che si concluderà con l’elezione del nuovo segretario del PD, non rivesta i caratteri del confronto fra le posizioni politiche edi diversi programmi .
Questo non mi sembra vero; anzi, nessuno impedisce che nella varie convenzioni a livello dei Circoli per poi proseguire a quello provinciale, regionale e quindi nazionale non si realizzi un ampio dibattito attorno alle varie tesi politiche connesse ai programmi dei candidati.
In passato, d’altra parte, anche nel PCI ,nelle sezioni , in modo non molto diverso,si discutevano le varie mozioni congressuali legate ai diversi leaders e via via si arrivava alla fase nazionale con l’approvazione della mozione vincente .
Oggi, le primarie aperte, sin dal livello regionale, agli elettori (dandogli forse un peso eccessivo rispetto agli iscritti che in futuro potrebbe essere ripensato, stabilendo pesi diversi in fase di consultazione elettorale ed eventuali compensazioni) costituiscono invece l’elemento di novità rispetto al passato all’interno dello Statuto del PD, che, in tal modo, vuole essere a pieno titolo un partito sia degli iscritti sia degli elettori .
Non vedo poi nessuna necessità di una eventuale Conferenza Programmatica ( richiesta a gran voce da molte parti come unica possibilità per la realizzazione di un reale confronto delle diverse posizioni) che sarebbe solo un inutile doppione del Congresso e che ha un senso proprio nello spazio temporale intercorrentefra un Congresso e l’altro. La Conferenza programmatica è infatti prevista con cadenza annuale mentre la fase congressuale, legata all’elezione del nuovo segretario, dovrebbe teoricamente avvenire al termine del suo mandato di quattro anni.
Venendo al nodo politico della fase attuale della vita del PD, l’ impressione è che la minoranza veda nella linea politica attuale del Segretario l’espressione di una visione “antagonista” rispetto alla propria.
Nell’ascoltare gli interventi di Rossi , Emiliano e Speranza a Testaccio ieri nella loro manifestazione congiunta, l’impressione è stata che considerino Renzi e la sua politica come conflittuale rispetto alle loro posizioni :una deriva di destra e neoliberista rispetto alla tradizione della sinistra storica ed ideale italiana di cui loro si dichiarano i veri continuatori.
Presunzione da un lato di rappresentare l’unica espressione della sinistra e degli interessi delle classi subalterne e vetero conservatorismo dall’altro, spacciati per elemento di novità rispetto ai nuovi problemi sociali e mondiali.
Non a caso all’interno dell’assemblea nazionale vi è stata da parte di esponenti come Epifani, legati a questa minoranza, la condanna delle riforme strutturali portate avanti nel campo del lavoro e della scuola che hanno rotto con una vecchia operatività consociativa . Dal loro punto di vista siamo in presenza di contraddizioni talmente “ antagoniste “nei confronti degli interessi popolari e della loro visione politica da giustificare una scissione se non saranno rapidamente modificate le linee politiche attuali espresse da Renzi e dalla maggioranza a lui legata.
In qualche modo, questa concezione non può sottostare ai principi di subordinazione alla maggioranza, tipici delle regole democratiche, perché non ne riconosce l’autorità morale e politica.
Le loro critiche non tendono ad andare avanti nella risoluzione dei problemi ancora presenti dopo le riforme attuate ma a ripristinare l’ordine precedente a partire da un metodo consociativo nei confronti del rapporto con il sindacato. Nella valutazione della riforma del lavoro non vengono valorizzati i risultati ottenuti con il passaggio a tempo indeterminato di ca. 600.000 giovani precari, l’apertura degli ammortizzatori sociali ai disoccupati precari e l’aumento del sussidio di disoccupazione in molti casi dai 18 fino ai 24 mesi.
Nel criticare gli aspetti ancora negativi presenti, come nella vicenda dei “voucher” o degli esodati, pensano di ritornare ai tempi passati. Invece di chiedere un ulteriore passo di tutela nei confronti dei disoccupati di lunga durata o dei giovani in cerca di prima occupazione, cercando di colmare i problemi ancora presenti nella riforma del lavoro ,continuano a criticare l’azione svolta dal governo definendola lontana dai ceti popolari. Invece di valorizzare l’assunzione di 100.000 precari nella scuola, ne evidenziano i limiti, probabilmente dovuti ad anni di colpevole silenzio sull’utilizzo di personale precario.
Molto c’è ancora da fare, specialmente nel campo degli investimenti pubblici e nel campo del lavoro, ma non mi rassicura pensare che le risorse necessarie possano essere recuperate come ho sentito dire a Enrico Rossi principalmente con il ripristino dell’IMU per chi se lo può permettere o con l’introduzione di patrimoniali, o rivedendo le pensioni d’oro perché retributive o solo con un diverso utilizzo della spesa pubblica o ancora non conteggiando tutti gli investimenti pubblici nel quadro di valutazione europea dei parametri finanziari di un Paese.
Non credo che le risorse rivenienti potrebbero essere sufficienti e l’eventuale ulteriore aumento del debito pubblico potrebbe essere punitivo per il nostro paese con un ulteriore aumento della spesa per interessi sul totale della spesa annuale.
Non mi sembra che questioni di questo livello si presentino ancora con una chiarezza tale da consentire la definizione di posizioni antagoniste all’interno del PD. La stessa richiesta di tassazione patrimoniale per essere sufficiente ed efficace dovrebbe avere dei valori percentuali talmente elevati da renderla in parte inapplicabile. Si può fare certamente qualcosa in questo ambito ma non possiamo aspettarci da una singola misura la risoluzione definitiva del problema.
Vedrei con maggiore interesse una ridefinizione delle aliquote IRPEF a partire dai 70.000 euro da cui si potrebbero ottenere maggiori introiti annuali di ca. 10MM ma non mi sembra che questa richiesta sia presente, in questi termini , nel programma della minoranza né che vi sia stata una presa in esame da parte della maggioranza.
Le stesse posizioni sull’Europa richiedono una profonda riflessione comune proprio per presentare agli italiani e in sede internazionale una strada percorribile alternativa alle posizioni populiste e nazionaliste . Sul fronte poi del problema immigrazione chiedere di depennare il reato di clandestinità mi sembra proprio lanciare un messaggio contraddittorio nei confronti di chi si è avvicinato con sacrificio e nella legalità al nostro paese.
Personalmente, ritengo che, invece, un piano nazionale del lavoro che veda insieme immigrati e disoccupati di lunga durata, uniti in una comune esperienza di lavoro pubblico organizzato dallo Stato, contemporaneamente all’azione d’inserimento nel mercato con l’ausilio degli uffici del lavoro, possa essere un obiettivo importante e mobilitante.
Queste riflessioni mi portano a concludere che non vi siano delle reali e valide condizioni per una scissione del Partito Democratico e del suo progetto. La convinzione che le contraddizioni evocate e raccontate non siano in realtà “ antagoniste “ e portatrici d’interessi di classe, diversi e inconciliabili.
Con la stessa schiettezza penso,tuttavia, che una parte consistente della cosiddetta minoranza lo creda e si stia preparando a considerare seriamente l’ipotesi di una scissione.
Perché dunque si presentano con quell’atteggiamento sintetizzato dall’intervento di Emiliano condiviso dagli altri in Assemblea nazionale?
A mio parere, perché coscienti di essere in ampia minoranza, cercano di prendere tempo per ottenere almeno tre risultati :
a) scaricare la responsabilità di una eventuale scissione alla mancanza di capacità di sintesi e di attenzione da parte del Segretario Renzi e del gruppo dirigente del partito;
b) ottenere un risultato minimo : quello di restare all’interno del partito ottenendo tuttavia una modifica della linea programmatica grazie ad un compromesso con la Direzione attuale. Tutto questo in modo da poter vendere ai propri seguaci questo risultato ed ottenere un maggior peso visibile all’interno del PD da spendere successivamente anche nell’ambito delle successive primarie
c) arrivare ad un risultato massimo: giungere alla scissione dopo aver realizzato un’ampia propaganda e visibilità delle loro posizioni anche a livello locale e sui media, in modo da aumentare la quota delle persone,oggi indecise ,che potrebbero seguirli in caso di scissione.
Alla luce di quanto espresso , personalmente, non ho molta fiducia che i contrasti fra le varie posizioni interne al PD possano superarsi e ricucirsi in uno sforzo comune di collaborazione e rispetto reciproco.
E’ probabile, invece, che la scissione arriverà presto, perché la minoranza non otterrà gli spazi d’azione e di compromesso sulla linea del partito che richiede.
Si consumerà in questo modo, forse definitivamente, quel processo d’incontro fra le culture progressiste italiane (cattolico-popolare e socialista) vissuto secondo un concetto di egemonia dell’una sull’altra.
Dobbiamo quindi andare avanti verso la capacità di gestire in modo nuovo i problemi del nostro tempo-certo- utilizzando la storia e la cultura che ci vengono dalla tradizione culturale e dalle lotte del movimento progressista; dobbiamo , tuttavia, essere capaci di riadattare questi concetti tutti insieme: per affrontare i problemi del nostro tempo con la massima apertura ideale.