Racconto su quadro
LA PRIMAVERA DI BOTTICELLI
È piena di sole questa giornata, di quelle in cui l’aria è tersa e il cielo limpidissimo; si sente un profumo strano, forse l’odore del vento che viene dalla montagna, quell’odore buono delle giornate serene. Salgo in mansarda ed esco sul grande terrazzo: riesco a vedere, lontana, persino la Basilica di Superga; se allungo il braccio, mi sembra quasi di poterla toccare e di riuscire ad accarezzare, più in là, le dolci colline del Monferrato. Poi laggiù, laggiù in fondo, la pianura prende un colore verde azzurro che mi sembra di vedere anche il mare.
In una giornata così chi ha voglia di studiare? Lo so che ho due libroni di biochimica che mi aspettano, quella biochimica che è una delle materie più ostiche che ho studiato finora, ma decido di chiuderli, impilarli per bene uno sull’altro e andare in campagna, a raccogliere viole.
Ricordo che da sempre, fin da piccola, prima con mia madre poi con le mie compagne di scuola, quando inizia la primavera e finalmente la natura si risveglia facendo sbocciare i suoi primi fiori, l’andare a cercare le viole è uno dei riti che viene mantenuto come se con questo atto si entrasse direttamente nella bella stagione, lasciandosi alle spalle il freddo e il buio dell’inverno.
Scendo in cortile e salgo in bicicletta. Ho deciso di andare in un posto dove so che le viole spuntano prima che in altri, perché è in collina, sulle prode su cui batte il sole: ce ne sono tantissime. Grandi, molto profumate, alcune hanno un gambo lungo lungo, e sono quelle che raccoglierò per prime, perché il mazzetto che porterò a casa avrà all’esterno le foglie, e all’interno le viole saranno sistemate come un cuscinetto che decresce da dietro verso il davanti.
Raggiungo il viottolo che porta alla chiesetta, lungo il quale si susseguono, come grani di un rosario, le cappelle che indicano la strada fino allo spiazzo sottostante la pieve. Una piccola scala porta al sagrato.
Per arrivarci, la stradina è un poco in salita e mi accorgo che faccio fatica a pedalare, muovo le gambe ma non vado avanti, le sento stanche e mi sembra di non riuscire più a proseguire. Ho un forte batticuore. Forse è meglio che mi fermi un attimo per riprendere fiato e rallentare i battiti.
Intanto cerco se qui è già nata qualche viola, anche se sembra che ci siano più rovi che fiori. Mi avvicino per la raccolta di quelle che si stanno nascondendo sotto le loro foglie, quelle piccole ma profumatissime: se ne sente la fragranza prima ancora di averle in mano. Ce ne sono tantissime: man mano le scopro sempre più numerose, e ognuna che raccolgo la porto al naso per aspirarne il profumo. Con i mughetti e i giacinti, le viole sono i fiori che preferisco, e mi rendo conto che l’olfatto è un senso ineffabile, veramente indefinibile, non esistendo aggettivi adatti che ne rendano la natura.
Mentre sto raccogliendo i fiori, sento un rumore vicino ai rovi, come un fruscio. Mi allontano improvvisamente, ritirando istintivamente la mano, per timore vi sia una serpe. So che non è zona di vipere, però anche le bisce mi fanno una certa paura. Guardo da lontano se si muove qualcosa. Nulla. Scampato pericolo. Riprendo allora la mia raccolta, spostandomi un poco da dove mi trovavo appena poco fa e, di nuovo, sento uno strano rumore provenire dallo stesso posto di prima. Adesso mi pare che si muova qualcosa lì in mezzo, un qualcosa di verde, che sembra un ramo. Mi riempio di pelle d’oca. Cosa può esserci lì che non riesco a scorgere con esattezza, ma di cui sento il rumore e la presenza?
Vorrei scappare ma mi sento come attratta a rimanere, una strana forza non riesce a farmi muovere le gambe. Improvvisamente, da dietro un ramo più grande, sbuca una specie di mano, con tre dita verdi lunghe e fini, che si stanno muovendo come a chiamarmi. Sono completamente paralizzata dal terrore eppure non posso muovermi: cerco di spostare i piedi, ma questi non rispondono all’ordine del mio cervello. Cosa mi sta succedendo? E cosa c’è lì, cosa è quella roba?
Come a rispondere alle domande che stanno vorticando nella mia testa, oltre ad una mano sbuca anche una faccia, se così si può definire. Verde anche questa, con due fessure allungate al posto degli occhi, un buco al posto del naso e uno che dovrebbe essere una bocca. Sbarro gli occhi e grido, ma non mi esce nessun suono. Sono diventata muta! Oh, mio Dio, è tutto orribile! Sono qui, non riesco a muovermi e nemmeno a urlare e c’è un essere strano che penso mi stia tenendo prigioniera con armi che non conosco.
Adesso sta aprendo la bocca: mi dirà qualcosa o vorrà sputarmi qualche liquido che mi immobilizzi ancora di più? Non emette alcun suono, ma, come per una strana telepatia, capisco quello che mi sta dicendo. Parla! E dice di stare tranquilla, che non mi farà nulla di male.
Oh, aiuto! Ma perché sono venuta a raccogliere viole, oggi? Cosa accadrà, adesso?
“Nulla, sono qui solo per guardare” mi trasmette quell’essere, senza che io possa sentirlo, ma soltanto capire quello che vuole dirmi. Voglio rispondere, dire che mi lasci andare via, che mi faccia muovere queste gambe che non sono più capace di comandare, e mentre sto per farlo sento un rumore intermittente, dapprima flebile, poi sempre più forte. Tutto intorno un gran silenzio, e lì questo rumore che temo sia quello di uno strano motore. Un’astronave? Una navicella spaziale? Il rumore sta crescendo di intensità, e, mi sembra, anche di frequenza. Non so cosa fare, sono immobile in preda alla paura più folle. Il rumore cresce, cresce, cresce…
Apro gli occhi e mi ritrovo nel mio letto, sudata e spaventatissima, ma non so bene perché. Allungo la mano e prendo il cellulare per farne tacere la sveglia.
Mi devo alzare, stamattina ho una lezione di biochimica. Che materia orrenda!