Umberto ROSSI- Confronti. Se gli uomini continuano a odiare le donne (un recente dibattito)
Confronti
SE GLI UOMINI CONTINUANO AD ODIARE LE DONNE…..
Sintesi di un recente dibattito svoltosi a Genova
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Iniziamo deliberatamente dal titolo del film cui fa riferimento la recente tavola rotonda di Genova. Uomini che odiano le donne (Män som hatar kvinnor) individua la prima parte di un’opera composta da più capitoli, il primo diretto dallo svedese Niels Arden Oplev nel 2009, desunti dalla trilogia Millenium dello scrittore e giornalista svedese Stieg Larsson (1954 – 2004), volumi pubblicati postumi nel 2005 visto che l’autore era deceduto, cinquantenne, l’anno prima. La sua morte ha dato il via a un furioso conflitto per i diritti d’autore (i libri avevano avuto un successo mondiale enorme) che lo scrittore avrebbe voluto andassero alla convivente, mentre si sono fatti avanti altri parenti che li hanno reclamati. Poco prima del film di cui stiamo parlando, erano stati prodotti La ragazza che giocava con il fuoco (Flickan som lekte med elden, 2009) e La regina dei castelli di carta (Luftslottet som sprängdes, 2009), entrambi per la regia di Daniel Alfredson. Gli americani si rivolgeranno agli stessi testi nel 2011 affidando a David Fincher un film in Italia assai poco originalmente intitolato Millennium – Uomini che odiano le donne (The Girl with the Dragon Tattoo).
Più ancora che ai testi filmici va fatto riferimento alla trilogia letteraria in cui uno dei protagonisti, che ha il ruolo del classico cattivo, è un altoborghese che prova piacere nel torturare e uccidere giovani ragazze, preferibilmente prostitute o emigrate povere dai paesi dell’est – Europa. In questa figura è possibile scorgere un concentrato di quel malanimo che, muovendo da pregiudizi tipici – ma non esclusivi – della religione protestante intesa nelle sue forme più bigotte, vede nella figura della donna un ricettacolo di tutti i peccati e, per questo, un concentrato di tentazioni demoniache.
Questo atteggiamento è rintracciabile anche in buona parte dei personaggi femminili che compaiono nei film americani ove spesso l’immagine della donna oscilla fra la figura delle tentatrice e quella della vittima. E’ un contrasto apparente che segna gran parte del cinema hollywoodiano, in particolare quello di maggior successo fra gli anni ’30 e ’40 che sono pieni di figure femminili tentatrici. Ricordiamo, solo per fare un esempio, l’intrusione di queste protagoniste in un genere, l’western, che è sempre stato uno dei meno ospitali per le immagini delle donne. Un caso esemplare in questo senso è quello di Jane Russell che assunse un ruolo scandalosamente fondamentale in Il mio corpo ti scalderà (The Outlaw, 1943) diretto da Howard Hughes. In realtà il film era pronto dal 1941 ma dovette attendere due anni affinché si stemperassero i dettami del Codice Hays, che imponeva gli standard di moralità per le pellicole cinematografiche. Del resto anche Marilyn Monroe che per anni ha rappresentato una sorta di modello femminile, secondo i parametri maschili, ha quasi esordito (Giungla d’asfalto – The Asphalt Jungle, 1950, regia di John Hudson, terzo titolo in cui il suo nome compare nel cast ufficiale) con il classico personaggio dell’oca giuliva la cui unica funzione è quella di scaldare il letto dell’avvocato coinvolto in una rapina fallimentare. Abbiamo citato questa figura perché è del tutto coerente con l’immagine della donna come oggetto di piacere o bersaglio di rabbia.
Ritornando ad un discorso più direttamente collegato al tema degli uomini che odiano le donne, meglio che le accettano solo come strumento di piacere o di servizio è necessario citare Il collezionista (Kiss the Girls, 1997) diretto da Gary Fleder, interpretato da Martin Freeman e desunto dall’omonimo romanzo di James Patterson (1947). Il libro è stato editato nel 1995 e fa parte della serie incentrata sullo psichiatra e poliziotto Alex Cross. Qui il cattivo di turno è un sequestratore di giovani donne che tiene rinchiuse per il proprio piacere. E’ una storia a cui potremmo affiancare una decina di vicende analoghe basate sull’idea, magari fingendo di condannarla, di un’immagine femminile unicamente funzionale al godimento dell’uomo. Questo, in particolare, quando è a lui totalmente sottomessa, meglio schiavizzata. Vi rientrano anche figure come la Sharon Stone di Basic Instinct (1992) diretto da Paul Verhoeven e scritto da Joe Eszterhas. E’ un’immagine tesa sino al parossismo della cattiva sia dal punto di vista sessuale, sia sociale. A questo proposito ci sia consentita una breve digressione per ricordare come la famosa sequenza dell’interrogatorio in cui la sospettata mostra di non usare indumenti intimi, sia stata proposta, in fase di tournage, dall’attrice con parziale sorpresa del regista. Citiamo questo aneddoto quale testimonianza del fatto che la rappresentazione negativa della donna nel cinema nasce, non poche volte, più dalle scelte delle attrici che non da esigenze di regia o sceneggiatura.
Tutto questo trova terreno fertile nel cinema pornografico, un settore economicamente molto importante (il consumo di materiali pornografici, soprattutto a livello di internet, ha superato da tempo quello dei film tradizionali) al punto da aver suscitato un interesse non trascurabile della criminalità organizzata. Ebbene, in questa branca del cinema e della società la figura femminile è quasi sempre tratteggiata più come un oggetto che non un personaggio dotato di una sua complessità. Questo anche nei casi in cui le si assegna un ruolo di dominanza o preminenza. Anche in queste occasioni, infatti, ciò che conta è la trasformazione delle figure femminili in puri e semplici oggetti del piacere maschile. Come dire che, con tutte le innegabili differenze del caso, da questo punto di vista le linee di fondo su cui muove questo genere non sono molto diverse da quelle che guidano il cinema commerciale di successo.
Intendiamoci, usare l’immagine femminile in funzione del solo desiderio maschile non è la stessa cosa di odiare le donne, anche se i due aspetti convergono nel negare autonomia alle figure femminili concepite come pura appendice maschile.
Chiudiamo il discorso dicendo che il cinema, con tutti i suoi generi e articolazioni, raramente si è impegnato a dare della donna un’immagine realistica se non positiva.
*Ringraziamo U. Rossi, collega di Cinemasessanta e direttore di Cinemaeteatro.com