Io scrivo
ROBINSON
Era un metodico. Non amava il cambiamento, ma l’ordine e il calmo perfezionismo. Ogni giorno timbrava puntuale alle 8:30. Immancabilmente salutava il custode all’ingresso, poi raggiungeva la sua stanza, in fondo al corridoio. Passava davanti a tutte le porte del suo settore organizzativo, sempre chiuse a quell’ora. Era sempre il primo la mattina, ma la cosa non gli pesava, anzi sentiva un senso di liberazione quando raggiungeva la sua stanza e trovava il suo posto accogliente e silenzioso. Leggeva le mail del giorno precedente e rispondeva con cura, gestiva i materiali richiesti dalle riunioni della mattina e poi si concentrava sul suo compito primario: il report settimanale. Erano già tre anni che se ne occupava esclusivamente lui, da quando il Rossi era andato in pensione e glielo aveva, così per dire, lasciato in eredità.
Curava con attenzione l’estrazione dei dati, riversava le svariate migliaia di numeri in un prospetto excel, poi con estrema cura accorpava le variabili omogenee, evidenziava gli scostamenti, forniva gli elaborati in una serie di tabelle riassuntive e, per ultimo, redigeva un commento sintetico, che avrebbe accompagnato i prospetti e forse sarebbe stato l’unico documento letto.
Amava lavorare con i numeri. Con loro non c’era da negoziare, da patteggiare, da accordarsi. Il numero era vergine e non si sporcava di interpretazioni velleitarie. Il numero non poteva tradirti. Rimaneva tale e presidiava la sua casella con atteggiamento marziale. I numeri erano il suo esercito, contro le falsità e l’incertezza della vita. Solo una volta gli avevano chiesto di “ritoccare gli arrotondamenti”, magari accorpando qua e là un paio di voci di minor conto… Non c’era stato nulla da fare: era stato irremovibile. Ci avevano rinunciato e da allora non ci avevano più provato.
Aveva appena terminato di elaborare un complicato prospetto, che riepilogava l’evoluzione delle vendite nel semestre precedente, quando si accorse che qualcosa stava bollendo in pentola. Il chiacchiericcio mattutino, che accompagnava l’abituale rito del caffè al bar sociale era alterato da un brusio ben diverso dal solito commento sportivo. In poco comprese che si trattava della ricorrente riorganizzazione aziendale. Ormai era avvezzo a questi continui mutamenti di cordata che creavano sconquasso in tutti i processi lavorativi per poter rimescolare ruoli e livelli di forza tra i manager dell’azienda. Lo scambio di poltrone in parte serviva a risciacquare i panni, facendo dimenticare i danni prodotti dall’incapacità dei manager precedenti, preparando la strada a nuovi e peggiori. Ma l’utilità maggiore veniva attribuita alla capacità di assecondare i molteplici pruriti di potere in gioco nella complessa macchina umana che costituiva la parte alta della struttura organizzativa. Dall’alto poi ogni modifica si traduceva con numerose ricadute verso il basso, fino ai capi di livello inferiore, ai coordinatori e infine al conteggio delle unità (le risorse umane) che da loro dipendevano. Quest’ultime erano solo considerate come un aggregato, un numero che indica il potere acquisito o perso rispetto al passaggio precedente. In sintesi, tanti pettegolezzi noiosi che lo infastidivano e lo distoglievano dal suo amato lavoro aritmetico.
Anche quel giorno volgeva al termine e con soddisfazione ammirava il diagramma che con lucida sintesi mostrava gli andamenti della commercializzazione indicando l’ascesa cristallina del prodotto beta, il successo dell’anno, e gli scostamenti dei prodotti alfa e gamma, ormai lenta ma decisa decrescita, verso l’inevitabile uscita dal mercato. Chiunque avrebbe avuto un quadro chiaro della situazione, anche grazie ai colori da lui scelti sul prospetto per evidenziare le sorti dei prodotti.
Proprio mentre produceva la stampa finale, entrò il capo. Di solito non si spingeva fino alla sua stanza, riceveva il suo rapporto direttamente sul suo tavolo, spesso posizionato sulla pila di destra dalla segretaria, mentre lui era immancabilmente impegnato in un’importante conversazione telefonica con la finalità di definire il ristorante per la cena o l’orario della partita a golf.
Tutti si alzarono per un tale onore immeritato. Lui fece appena in tempo a recuperare il prospetto stampato e si preparò a descrivere i meravigliosi trend evidenziati dalle vendite, ma dovette presto ricredersi. L’argomento di tale inaspettata visita era proprio la riorganizzazione e gli effetti sul settore, che ne veniva da una parte ridimensionato, nella parte di reporting, mentre dall’altra riceveva nuova linfa perché acquisiva l’importante controllo end to end di tutti i processi. Non capiva se doveva essere felice del risultato o rammaricarsi, ma quando vide i colleghi complimentarsi seguì la scia. C’era però qualcosa nella parola “reporting” che lo preoccupava e la certezza la ebbe quando il capo accolse i suoi complimenti con una faccia da funerale. Gli disse “mi dispiace” e anche “non ho potuto farci niente”. Ora era tutto più chiaro: l’attività di reporting era la sua. Lui sarebbe confluito nella struttura attigua più consona al ruolo e alle attività svolte in considerazione della fascia di clientela e del portafoglio di prodotti corrispondente.
Il tutto si sarebbe definito in pochi giorni e lui avrebbe continuato la sua attività, anche con maggior profitto, in un’area idonea alla valorizzazione delle sue capacità e del suo apporto. Gli venivano fatti i complimenti e un tiepido in bocca al lupo. Anche i suoi colleghi ora lo guardavano in modo diverso, bisbigliavano, lo evitavano. Il Grandi gli diede anche una leggera pacca sulla spalla quando uscì. Quasi non se ne accorse: stava raccogliendo in una cartellina una sintesi dei report prodotti per il nuovo capo, che sicuramente avrebbe apprezzato il lavoro e lo avrebbe esortato a continuare.
Quella settimana inviò il report alla mailing list di manager, ma un paio di mail tornarono indietro con il messaggio “mittente sconosciuto”. Curioso. La ristrutturazione aveva mietuto vittime anche tra i suoi “clienti interni”.
Il lunedì successivo si recò nell’ufficio del suo ex capo e lo trovò impegnato come al solito in costanti colloqui telefonici. La segretaria prese in custodia il rapporto stampato a colori e rilegato con la migliore copertina. Lo avrebbe consegnato lei al momento opportuno. Robinson non dava cenno di tornare sui propri passi: voleva sapere come comportarsi non essendo stato contattato da nessuno e non sapeva più a chi fare riferimento. Il boss sembrò capire la questione e mise in pausa la chiamata. Gli dedicò una manciata di secondi e poche oscure parole. Il senso era che il personale stava ancora definendo i dimensionamenti delle aree e gli organici, nonché gli uffici e le sedi da destinare ad ognuno. In sintesi, c’era da aspettare.
Robinson attese un’altra settimana, compiendo le abituali attività e producendo il report settimanale. Intanto i suoi ex colleghi di stanza avevano riempito gli scatoloni ed erano pronti al trasloco. In breve il piano si spopolò e lui rimase solo in stanza. Le porte del corridoio che era abituato a veder chiuse la mattina presto non venivano più aperte, nemmeno durante il resto del giorno. L’unica altra stanza occupata era nel lato opposto del corridoio e ci “abitava” un tipo strano che usciva in pantofole quando andava al bagno.
Robinson chiamò il referente del Personale, chiedendo spiegazioni sul suo nuovo settore. Dapprima gli fu chiesto di riprovare la settimana successiva, dato che telefonava proprio nel bel mezzo della settimana bianca. Riprovò la settimana successiva e gli fu risposto di aver pazienza, perché loro stavano lavorando per lui, proprio alla definizione degli organici. La terza volta le risposte furono più secche, doveva avere pazienza, perché sarebbe stato chiamato: era inutile continuare a telefonare, loro la sua situazione la conoscevano, ma per ora non potevano fare nulla.
Robinson non si perse d’animo, continuò a redigere il suo report settimanale nel modo migliore. La mailing list si era ulteriormente ridotta di un altro nome, ma gli altri la ricevevano puntualmente e sicuramente gli era utile.
Anche sugli altri piani dell’edificio c’erano diverse stanze vuote e quelle abitate non davano alloggio a più di due persone. Un massiccio trasferimento verso la nuova sede periferica era in corso e per questo la mensa cessò di funzionare. Tanto c’era il bar che serviva anche pasta fredda, panini e insalate. Per risparmiare sulle pulizie e la manutenzione anche alcuni bagni furono sigillati. Poco male: due passi in più non hanno mai fatto male a nessuno, anzi! Poi fu la volta del bar che, ormai troppo spesso vuoto, non era più conveniente per il gestore.
Robinson si portava tutto da casa: caffè nel termos, portapranzo, acqua. Trascorreva il tempo lavorando sui numeri e ascoltando musica in sottofondo e quando inviava il rapporto era sempre felice.
Un giorno gli venne un’idea: consultare i suoi Clienti interni su eventuali modifiche al report. Scrisse una mail sintetica per interpellarli sull’argomento, alla quale nessuno rispose. La cosa era curiosa, allora decise di fare un tentativo disperato: in un report raddoppiò il valore delle vendite di un prodotto ormai in fase calante. Nel grafico si notava un picco veramente inusuale. Sicuramente si sarebbero subito accorti della grossolana anomalia. Glielo avrebbero fatto notare e lui, scusandosi, avrebbe colto l’occasione per verificare il report e le sue evoluzioni direttamente con loro. Inviò il report e attese. Dopo due giorni, ancora nulla. Avevano preso il dato per vero! Doveva avvertirli subito. Inviò una mail per segnalare l’errore e scusandosi allegò il report corretto. Ancora silenzio.
Nel mese successivo provò un nuovo esperimento invertendo i valori dei prodotti, alcuni li decuplicò, altri li dimezzò, combinò un tale caos nei prospetti che sicuramente qualcuno sarebbe intervenuto per arrestare quella follia. Ancora silenzio.
Attese ancora una settimana, poi decise di fare un tentativo estremo: non inviare la mail con il report. Era sicuramente una cosa grave. Mai era successo, se non una sola volta, quando malato non era riuscito a raggiungere l’ufficio. Era una bella responsabilità, ma doveva sapere! Attese giorno dopo giorno una mail di protesta, una chiamata, una lettera di richiamo… Niente. Nessuno aveva richiesto il report.
Decise di smettere di farsi domande. Riprese la sua attività con la cadenza consueta, con grande attenzione redigeva i rapporti e li inviava puntualmente alle scadenze prefissate. Nemmeno il blocco della posta elettronica lo aveva costretto alla resa. Gli avevano detto che senza l’indicazione del settore di appartenenza non potevano intervenire per ripristinare il disservizio. Il suo vecchio settore, che lui aveva provato a indicare, non esisteva più e così si rassegnò a passare all’invio cartaceo. Reperì tutti gli indirizzi fisici e incominciò a spedire il report settimanale per posta interna.
Il tizio con le pantofole lo osservava mentre imbustava con cura i suoi report e vergava a penna gli indirizzi. Lui sapeva che fine faceva la posta in uscita, di certo non oltre il primo cassonetto. Probabilmente lo aveva capito anche Robinson, quando passando aveva notato le buste accatastate tra gli altri rifiuti in attesa del camion.
Ora aveva preso nuove abitudini e solcava a grandi passi i corridoi, quasi correndo dal capo, con in mano l’ultimo report. Ogni giorno percorreva velocemente tutti e quattro i piani, poi si ritirava nella stanza dove una piccola stufetta ovviava al freddo invernale, ora che avevano staccato anche il riscaldamento. La carta da tempo se la portava da casa, con il portapranzo e il termos. Poi all’ora solita timbrava in uscita e tornava a casa.
I disegni sono dell’autore