Renata MATTINA- Festa del Cimema di Roma. Oliver Stone parla del suo “Snowden”


Festa del Cinema di Roma

 

Snowden, il film kafkiano ma realistico di Oliver Stone presentato alla Festa del Cinema di Roma

OLIVER STONE PARLA DEL SUO “SNOWDEN”

Breve conferenza, tanta disponibilità umana

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Coinvolge sempre la passione di Oliver Stone per ogni cosa che fa, dichiara, annuncia.  Come attesta la    la purtroppo breve conferenza stampa di presentazione di Snowden alla Festa del Cinema, dove il regista si è speso, come sempre, con grande schiettezza e disponibilità umana.

“Credo che le informazioni che Snowden ci ha dato nel 2013 siano molto significative, ma anche molto difficili da capire per gli americani. Io stesso ho iniziato a capirne il significato e la dimensione di quello che facevano solo dopo due o tre incontri con lui. Qua non si parla solo di spiare cosa uno compra o cosa cerca su Google, ma è una cosa molto più importante e queste informazioni erano così complicate che la maggior parte della gente non ha capito di che si parlava, per cui ho deciso che era bene tornarci su, poter ricreare il suo mondo e la sua presa di coscienza di questa cosa e come è arrivato alla decisione di rivelarlo, in modo che si capisca meglio cosa sta rivelando. Non so se siamo riusciti a renderlo sufficientemente chiaro, ma nel 2013 Snowden non era affatto popolare in America, nel 2013 chiunque rivelasse dei segreti del genere era sospettato di comportamento scorretto e molti americani lo confondono con Julian Assange e non sanno chi sia”.

Finanziare il film, risponde Stone a una domanda specifica, non è stato semplice: “Abbiamo avuto problemi, in America nessuno Studio ha voluto farlo per cui siamo venuti in Europa e abbiamo trovato finanziamenti in Francia e Germania. Abbiamo girato a Momaco perchè il nostro produttore sapeva che avrebbe avuto meno problemi che a New York. E’ stato un film complicato da realizzare, soprattutto in fase di sceneggiatura, proprio perché le informazioni che lui ci ha dato erano molto complesse ed è stato difficile renderle in modo chiaro, coerente e realistico. In America ha avuto reazioni miste, ho avuto critiche ottime ma anche cattivissime e la gente non era interessata come pensavamo, forse perché non è uno spymovie convenzionale con violenza e inseguimenti, ma è realistico”.

Inevitabile un suo parere sulle presidenziali americane. Stone appare piuttosto disilluso: “So che voi in Europa siete terrorizzati dalla possibile vittoria di Trump, ma io non credo che Trump abbia chances, non le ha mai avute. Il problema però è che si vota per Clinton che rappresenta il sistema di pensiero americano,”o con noi o contro di noi”, è più militarista e dura di Obama. E’ stata coinvolta nei vari cambi di regime in Libia, Iraq, Siria e Honduras. Non vedo uno spirito riformista in lei”.

Quanto è stato coinvolto Edward Snowden nella realizzazione del film? “Tantissimo, ci ha aiutato molto con la sceneggiatura che ha letto due volte, dandoci dei dettagli sul set e informazioni tecniche che non avevo. E’ stato importantissimo, il film l’ha approvato e gli è piaciuto, anche se abbiamo avuto solo due ore per raccontare una storia che si è svolta in 9 anni”. Obama non esce tanto bene dal film… “Non lo mettiamo in cattiva luce lui, sono suoi discorsi, quindi si denuncia da solo, era una candidato per le riforme e poi ha reso difficile condividere le informazioni, aveva la possibilità di scegliere diversamente e non l’ha fatto”.

Vedendo il percorso di Snowden nel film, che da giovane patriota che crede nel suo paese viene disilluso, notiamo delle somiglianze con la sua storia: “Sì, ci sono somiglianze con la mia vita ma io sono stato più lento di lui, sono cresciuto conservatore e sono stato scioccato dal Vietnam, ma ero troppo giovane per capire lo schema. Poi, quando sono andato in America Latina all’epoca di Reagan ho visto che iniziavano il processo di invasione, ho riconosciuto lo stesso modello. Alla fine ci si sveglia. Poi dieci anni fa sono tornato a studiare e ho fatto un programma tv, Untold History of the United States che è diventato anche un libro, e avevo appena finito che è saltata fuori questa cosa di Snowden. Per me questo è un film kafkiano, sei schiacciato in un sistema così potente che finisci per fare cose terribili. Per me l’epilessia di cui soffre è una malattia spirituale”.

Infine Oliver Stone si lancia in una lunga tirata per chiarire i rischi della sorveglianza di massa denunciati da Snowden. “Lui era, come tutti, a favore della la sorveglianza antiterrorismo: segui un sospetto, lo intercetti e con un buon lavoro investigativo puoi ottenere un risultato. Ma perché la sorveglianza di massa? Ti dicono che viene usata perché andando random puoi beccare le telefonate casuali ma non funziona così, è ridicolo, se fosse così sarebbero stati risulti tutti i casi di terrorismo. Non uniscono i puntini: sull’11 settembre sapevamo cosa facevano i dirottatori, lo sapeva la NSA e non passò le informazioni all’FBI che ci arrivò da sola e non fece nulla, e quando arrivano a Washington si perdono, alla Casa bianca non ascoltano. Perché? Non serve a combattere il terrorismo, ma a controllare tutto e tutti per vedere come ne possiamo approfittare per far avvenire dei cambiamenti di regime come in Iraq, ora in Siria, in Brasile, Venezuela e Libia.

Non andiamo in guerra ma cambiamo i regimi in modo molto sottile. Certo nessuno ha i mezzi e i soldi che ha l’America, ma possono imparare rapidamente. Poi c’è stata la guerra cibernetica iniziata nel 2007 in Iraq, immettendo mailware nei sistemi di diversi paesi, come Snowden scoprì in Giappone. So che succede col Messico, il Brasile, l’Austria, il Belgio e io penso anche con alcuni dei nostri maggiori alleati. E’ come mettere delle mine. Con i cambi di regime si crea la possibilità di una guerra e questo è quello che vediamo in Medio Oriente”

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