Cristiana MARCHETTI- Un silenzioso grido dalla casa del lago (Aung San SauuKyl e il Teatro delle Albe)


Lo spettatore accorto

 

 

UN SILENZIOSO GRIDO DALLA CASA DEL LAGO

immagine scheda

La tumultuosa esistenza di Aung San SuuKyl  nello spettacolo del Teatro delle Albe. Regia di Marco Martinelli
Di scena al Teatro Argentina, Roma

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Sono tutti lontani, i mondi che non ci appartengono.
La Birmania lo è  logisticamente,ma anche tutto quello che dista poche miglia puo’ essere inconfutabilmente remoto alla nostra vista e alle nostre coscienze.
Puo’ essere troppo lontano da udire  il grido di chi subisce torture,ingiustizie,povertà,puo’ rimanere soffocato in una stanza per decenni come è accaduto a Aung San SuuKyI simbolo della resistenza Birmana ,premio Nobel per la pace nel 1991 e  ormai icona di una resistenza al potere e ai soprusi di una dittatura.

Un rap  metallico irrompe nella scena e spiazza emozionalmente , accostato alla figura delicata di Aung,con la nuca ornata dei suoi meravigliosi e leggendari fiori,unico vezzo femminile,l’andatura leggiadra ed elegante.Il suono è duro,ritmato ,come il braccio di ferro,che l’eroina inizia  nel primo dei diciotto quadri che come fermi immagine rappresentano il susseguirsi degli eventi.

Le domande degli inquisitori , maschere scimmiesche e divise militari, incalzano Ermanna Montanari in un ritmo serrato .
Aung ha due anni quando il proprio padre ,giovane eroe della patria,muore assassinato,ma  questo non le impedisce di continuare  a vivere intrisa di ideali democratici a fianco della madre che da ambasciatrice farà viaggiare e studiare all’estero Aung San fino alla laurea ad Oxford ,seguita dal matrimonio con Micheal Harris .
Il testo di Montanari e Martinelli si sviluppa e si espande  sulladecisione di Aung,dopo il massacro dell’otto agosto 1988 ,avvenuto mentre  si ritrova in Birmania al capezzale della madre , di sostenere il suo popolo,di sacrificare la sua vita  in nome di un ideale.

Troveremo la nostra eroina,al pari di Gandhi,divenire simbolo di un ‘opposizione attraverso la non violenza,accettare con dimessa rassegnazione gli arresti domiciliari su una casa in riva al lago,apparente quiete, contrapposta allo stridore di armi e torture inflitte ai  suoi compagni  tradotti e reclusi in carceri oscure ed asfissianti, quasi che ,dinanzi alla leggerezza di quegli occhi femminili anche la mano dell’orrore non riesca a sferrare il colpo.

Aung esorcizza le sue paure infantili del  buio e deiNat ,spiriti malvagi che compaiono alle sue spalle ,con splendide  maschere orientali e che si trasformano,inaspettatamente negli unici amici  immaginari con cui discorrere durantenotti silenziose e solitarie.
Si alternano sul palco generali caricaturali ,quasi di sapore Chapliniano ,caricaturali e apparentemente inoffensivi,che inveiscono  contro la resistente e ferrea personalita’ della protagonista,una giornalista del Vanity Fair, stridente e frivolo contrappeso ad una  prigionia  quasi grottesca.

Un coro rievocativo da tragedia Eschilea rievoca  la storia d’amore di Aung e Michael..” e se fosse il coro a narrarvi questa storia d’amore… e se fosse il coro a narrarvi che un giorno una telefonata foriera di drammatiche notizie avrebbe spezzato il cuore di questa donna esile e fiera..”

“Amore..rimanili’ ,mi è stato diagnosticato un male che non avrà pieta’ di me,ma tu non venire ,continua a lottare per il tuo popolo…” dice Micheal con un filo di voce che si assottiglierà progressivamente e cesserà di comunicare con la propria moglie nel 1999.

Il progetto, come tutti quelli del Teatro delle Albe è sincero,di denuncia politica e di informazione , di impegno sociale,di divulgazione, di efficace narrazione di eventi concatenati ed intricati, di riconoscimento ad una figura integerrima e generosa ,quasi mistica.
Lo stile recitativo della Montanari è senz’altro di livello, cosi’ come lo sono le interpretazioni di Magnani, Protto e Rassu che utilizzano il corpo in maniera divertente evariegata,con buffe movenze ora ironiche,ora tribali.

Bello il progetto di luci ed  ombre, d’impatto lo schermo  su cui il ghigno dei dittatori si alterna  alle foto dei massacri perpetrati,o a sorpresa all’immagine di Brecht.
Quello che lascia un po’ perplessi è che si sia sicuramente affrontato il tema con descrittiva puntualità di  accadimenti ed intrighi,ma che la figura di Aung sia rimasta troppo in ombra,quasi che il conflitto interiore, forse il piu’ interessante da un punto di vista teatrale ,sia stato sacrificato in nome di una narrazione piu’ distaccata e didascalica.

Quello che chiuso il sipario si avverte è che avremmo voluto approfondire il dolore di Aung nel non aver visto crescere i suoi figli,l’emozione profonda nel giorno della liberazione dagli arresti domiciliari,i momenti di smarrimento,rabbia,il conflitto insomma,quello che rende grandi le opere teatrali e narrative, che provoca quel senso di umano,troppo umano che la nostra eroina in questo testo sembra solo sfiorare.

Seppure elegante , ben condotto e recitato lascia quindi quasi un senso di incompletezza,di esplorazione troppo delicata anche dei crimini e delle ingiustizie subite dalpopolo Birmano e dall’umanità tutta.
Una storia vera,forte,importante che dovrebbe avere come fine quello di incendiare gli animi di ideali e propositi altruistici,ma che rimane in realtà un grido troppo edulcorato,quasi timoroso di contrapporre mostruosità piu’ gridate e denunciate ad una ieratica serenità che non convince.

Perché una madre che non abbia potuto crescere i propri figli per anni e che non abbia sentito accanto la pelle del proprio uomo in notti gelide di paura avrebbe molto,molto da raccontarci in fatto di disperazione e smarrimento.

Ecco, Aung,oltre il tuo splendido altruismo politico avrei voluto vederti perdere le staffe,sentirti  a tratti maledire la  tenace caparbieta’che ti ha tenuta decenni lontana dalla vita  per poi ritrovarti in nome di un ideale piu’ alto.
Questo sarebbe stato  affascinante e  toccante,vederti ricomporre i tuoi pezzi, pezzi sparsi di fragile ed umana creatura,pensieri contrapposti tra morti macellati per strada e sorrisi di figli perduti.

Il segreto e la ricetta della tua compostezza si sono fermati in una nebulosa sensazione e voglia di capire in fondo a quell’anima cosa ci sia davvero,cosa  abbia  ispirato i tuoi sorrisi e quei  fiori  tra i capelli,esorcismo contro la morte ed il dolore, simbolo di freschezza e rinascita.

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“Vita agli arresti di Aung San SuuKyi”

di Marco Martinelli
ideazione: Marco Martinelli e Ermanna Montanari
con: Ermanna Montanari, Roberto Magnani, Alice Protto, Massimiliano Rassu
incursione scenica: Fagio
musica: Luigi Ceccarelli
spazio scenico e costumi: Ermanna Montanari
assistente ai costumi: Roberto Magnani
luci: Francesco Catacchio, Enrico Isola
montaggio ed elaborazione video: Alessandro Tedde, Francesco Tedde
regia: Marco Martinelli
produzione Teatro delle Albe – Ravenna Teatro in collaborazione con ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione

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