Rosalba MAGISTRO- Da molto vicino (“La parola padre” Regia di G. Vacis. Piccolo Eliseo, Roma)


Lo spettatore accorto

DA MOLTO VICINO

“La parola padre”     -Drammaturgia e Regia Gabriele Vacis
Scenofonia e Allestimento Roberto Tarasco
Coordinamento artistico Salvatore Tramacere
con Irina Andreeva (BG), Alessandra Crocco, Aleksandra Gronowska (PL), Anna Chiara Ingrosso, Maria Rosaria Ponzetta, Simona Spirovska (MK)
Assistente alla regia Carlo Durante
Produzione Cantieri teatrali Koreja nel’ ambito del progetto Archeo.s, finanziato dal programma di Cooperazione Transfrontaliero IPA Adriatico.
Lead Beneficiary Teatro Pubblico Pugliese   Di scena al Piccolo Eliseo di Roma

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Drammaturgia e   regia de “La parola Padre” di Gabiele Vacis danno in frutto un energico, squisito, appassionato spettacolo prodotto con il contributo (determinante)  dei Cantieri Navali leccesi Koreja, rappresentato a Roma in questi giorni al Piccolo Eliseo in diverse lingue –e comunque  tradotto sia in inglese che in italiano. L’ideazione e la formazione dell’attività composita di Vacis aiuta gli stessi attori nell’improvvisare eterni conflitti ed aspetti, corollari  umani del dissidio: rancore, amarezza, pregiudizi ed atavici tabù.

Ma la performance, le ironiche allegorie ravvivano il palco rapendo per tutto il tempo l’attenzione della platea che sbalordita assiste all’esegesi e alla bravura di sei giovani attrici europee, una più bella e brava dell’altra (alle prese con un allegorico, distruttibile ma riedificato ‘muro’ di bottiglie in plastica): tre italiane, una polacca, una bulgara ed una macedone tutte quante di personalità forte e volitiva, le quali confrontano la loro storia, la loro ‘storia’ politica, la loro ‘perduta’ infanzia nel comune unico impegno di figlie senza più padre, sia esso quello anagrafico, sia esso il Moloch di una socialità, di una vita collettiva sottoposta allo sterminio dopo gli eccidi di Sarajevo e la sparizione (spartizione) della ex  Jugoslavia.

E sebbene, queste ragazze, abbiano un imprinting diverso una dall’altra sono equiparate nella –dall’attenta e sensibile regia di Vacis- all ‘convenzione’ (idealizzata?) di patria- genitore -figlio, come  barriera difficile da abbattere per antiche tradizioni codificate nel tempo.
Il dramma affronta la figura maschile intrisa di coercizione  e patriarcato definendo “la parola Padre”, pater familias, figura genitoriale dominante e spesso conflittuale con la figura di madre–moglie-figlia.
Tra genitori sorgono sempre piccole scaramucce  in cui uno scarica sull’altro le proprie responsabilità pretendendo dalla figlia il proprio dovere proprio nel ‘nome del padre’ (che assume quindi valenze religiose).  Frase emblematica  espunta dalla intensa rappresentazione:

La madre:‒Tu figlia puoi fare quello che vuoi…  anche non studiare ma tuo padre…‒

Le  giovani protagoniste Ola, Anna Chiara, Simona, Irina, Alessandra, Rosaria si esprimono con intelligenza e capacità artistica eccellente, trasmettendoci la difficoltà della loro crescita (lontano da casa) e di quella dei loro genitori, esperienze passate, pressioni sociali e ricatti morali già introiettati da una figura maschile e genitoriale,  che incapace di assolvere alle proprie responsabilità,  proietta frustrazione e negligenza sulle incolpevoli figlie .

Ma le ragazze sono frutto di modernità e videogame e a suon di musica ballano la propria dimensione… contestando stizzite una realtà che possono e vogliono cambiare a cui si ribellano, scalciando con aggressività e rabbia,  liberandosi da profonde cicatrici psicologiche  e dall’immagine irrequieta che si scrive (compulsivamente) con “La parola padre”. Quell’io-genitore sempre presente che spesso è un muro che non si riesce ad abbattere.

Gli spettatori vengono prima sfiorati –mediante lieve ironia- poi ‘toccati’ dal sensibile, scottante tema (e  problema multietnico di convivenza proficua), espresso dalle   giovani attrici con un’incredibile padronanza e naturalezza: non potendo, noi in platea, fare a meno di applaudire fino a spellarsi le mani al tributo di ‘bravissime’. Tanto più che “La parola padre” serve, per tutte loro, a rimarginare la ferita (mai del tutto  sanata) di uno ‘sradicamento’ dalle terre natali a quelle di di italiana accoglienza, illusoriamente decantate quale vestibolo  di un’unità europea fondata su utopie\sinergie di cultura e polis, aspremente contraddette dalle cronache del quotidiano.

Author: admin

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