Chiara CATALDO- Ibsen, originale e ipnotico (“Una casa di bambola”,di a scena Milano)

 

Lo spettatore accorto

 

 

IBSEN, ORIGINALE E IPNOTICO

“Una casa di bambola” nell’adattamento di Andrée Ruth Shammah al Teatro “Franco Parenti” Milano

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In scena in questi giorni (sino al 24 febbraio), al  Teatro “Franco Parenti”  di Milano,  “Una casa di bambola” per la regia di Andrée Ruth Shammah e con i bravissimi Filippo Timi e Marina Rocco nei ruoli principali. Già il titolo e la locandina parlano chiaro: l’articolo indeterminativo sottende il fatto che si tratti di una peculiare lettura del classico, mentre il manifesto dello spettacolo vede al centro del palco Torvald (Filippo Timi, nella foto), in piedi e distrutto.

Questa messinscena infatti rivendica la priorità maschile e la sua crisi in un testo da sempre considerato emblema dell’ emancipazione femminile e della sua subalternità:  la Shammah qui tratta la relazione uomo- donna scavando nei meandri della psiche. La regista dà un taglio particolare all’opera; Nora (Marina Rocco) non è più solo una vittima inconsapevole, l’”allodola”,  lo “scoiattolino” e il cucciolo ammaestrato e capriccioso. Nora qui, sebbene non sappia leggere, è un essere che mente e che si contraddice, come tutti d’altronde.

Quattro separé , pochi mobili e un albero natalizio addobbato fanno la scenografia – che è più una bomboniera –  verde e rosa antico come le pareti.  Sul fondale due porte scorrevoli sono il portone di casa, fuori nevica e in proscenio scorre un telo trasparente ad ogni cambio scena: questa è la “gabbia d’oro dove non sboccia mai la primavera”, la casa dei signori Helmer nel classico di Ibsen. Spesso a lato sinistro della scena incombe un’angosciante donna nera la cui identità resta ignota sino alla fine.

Questo allestimento, in scena a Milano da fine gennaio,   è sostenuto e sostanziato  da attori che hanno studiato Ibsen e le sue ‘creature’  in profondità, a tal punto da capirne e incarnarne le ragioni: gli attori –nessuno escluso, a cominciare dalla bambina per finire alla servitù – sembrano vivi, pulsanti, convincenti . Timi e la compagnia sostengono quasi tre ore di spettacolo con ritmo incalzante e sostenuto, persuadono tutti e sempre: ridiamo alla sfacciataggine di Timi, ai suoi motti di spirito dovuti al destreggiarsi tra i tre ruoli (Torvald, Rank e Krogstad), quando dà sfogo a una tarantella e quando gigioneggia con il pubblico scherzando su quanto sia difficile stare in scena sempre, seppur con maschere diverse.

Una scroscio di risate poi accoglie le battute della balia, intenta a sciorniare ad ogni entrata massime di vita metaforiche e interpretata da un uomo con un vago accento veneziano.  Unica piccola nota distorta la lunghezza della commedia, qualche scena si dilungava un po’ troppo.  .

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di Henrik Ibsen
traduzione, adattamento e regia di Andrée Ruth Shammah
con Filippo Timi,
Marina Rocco, nel ruolo di Nora,
e con la partecipazione di Mariella Valentini
e Andrea Soffiantini, Marco De Bella, Angelica Gavinelli, Elena Orsini, Paola Senatore,

spazio scenico Gian Maurizio Fercioni – costumi Fabio Zambernardi in collaborazione con Lawrence Steele
luci Gigi Saccomandi – musiche Michele Tadini

aiuto regista Benedetta Frigerio
assistente allo spettacolo Diletta Ferruzzi

direttore dell’allestimento Alberto Accalai
pittore scenografo Santino Croci 
direttore di scena Marco Pirola
macchinista costruttore Tommaso Serra
elettricisti Domenico Ferrari, Gianni Gajardo
fonico Matteo Simonetta 
responsabile sartoria Teatro Franco Parenti Simona Dondoni
sarta Caterina Airoldi
produzione Maria Zinno
assistente di produzione Caterina Floramo

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