Enrico BERNARD- Saggistica breve. Verga, verismo e naturalismo (alcuni equivoci)


Saggistica breve*



VERGA, VERISMO E NATURALISMO

Giovanni Verga

Equivoci, paradossi, imprecisioni

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La discussione sul naturalismo e l’imitazione della natura (o realtà storico–sociale) è  antica. Per restringere il discorso al verismo e all’opera di Verga che, come vedremo, è alla base di ogni discorso sul neorealismo di Bernari e Zavattini, bisogna considerare che l’equivoco della verità, un personaggio di Cervantes si chiede se è vero quello che scrivono i libri,  è insito nel nome stesso del movimento letterario. Verismo dovrebbe infatti significare rappresentazione di ciò che è vero, pur nella finzione letteraria. Le cose non stanno però così.

Pur non volendo ricostruire l’opera verghiana, bisogna tener presente che il capolavoro dello scrittore catanese,I Malavoglia, è introdotto dallo stesso autore con una prefazione teorica che ha avuto una genesi complessa. L’intervento definitivo  datato  “Milano, 19 gennaio”  (un paradosso: Verga “manifestandosi” nell’introduzione sostiene che l’autore dell’opera

Bahr  descrive qui  una situazione artisticache presenta non poche analogie con quella del secondo dopoguerra e, a ben guardare, anche un po’  con quella attuale, dove il termine “neorealismo” sembra tornato in auge, ma in una accezione – ancora una volta – realistica e contenutistica. Senonchè, come concludeva– e sembra di leggere Zavattini  o Alvaro[7]– Bahr nel 1902:

Ma la verità, per quanto seducente possa sembrare la soluzione, è una faccenda delicata e pericolosa. Che cos’è la verità? Dov’è la verità? Come si può definire la verità? Come un fuoco fatuo sembra sempre di averla di fronte, ma si spegne ogni qual volta le si rivolge lo sguardo.  Dapprima la combattiva compagnia partì con gagliardia alla sua conquista. REALTA’, REALTA’ gridavano incessantemente a se stessi, e in questa esclamazione c’era qualcosa che spronava, che rassicurava […] con la penna, con lo scalpello, con il pennello, ognuno avrebbe dovuto raccontare il mondo là fuori, tutto quello che esisteva – era così semplice ed era irresistibile. Un po’ di filosofia li avrebbe dovuti confondere.[8]

Questo è il punto: un po’ di filosofia! Non è infatti comprensibile come si possa affrontare criticamente, e mi rivolgo una volta di più alla critica letteraria, autori come Verga, Bernari, Zavattini – che furono teorici e artisti dai molteplici interessi e attitudini – senza una preparazione scientifica nel settore delle nuove arti visive, ma anche e forse soprattutto negli studi filosofici. Infatti, seppure la millenaria questione filosofica della realtà fenomenica meriterebbe una più ampia trattazione a partire da Platone per finire a Ponzio Pilato[9], impossibile in questa sede, bisogna ricordare che uno dei punti cruciali del Manifesto Uda (1929) di Bernari, Pierce e Ricci sta proprio nel rapporto tra il soggetto e l’oggetto dell’arte sulla base del concetto feuerbachiano della sensibilità.

Del resto, la riproposizione in campo letterario di una questione filosofica che risale alla notte dei tempi e al mito platonico della caverna riguardo alla “verità oggettiva” e alla fenomenologia non è un anacronismo o una semplificazione intellettualistica. Infatti, l’invenzione della tecnica fotografica mette per la prima volta gli artisti  di fronte al problema della rappresentazione della realtà;  alle possibilità  di utilizzare la nuova tecnica che permette di fissare in un’immagine il mondo;  e di partire da questa stessa immagine in un percorso di finzione drammatica. In questo modo fotografia e racconto verrebbero a trovarsi, nell’ambito del verismo in un rapporto sinergico e dinamico, nonchè dialettico.  È bene allora ricordare il punto 3 del Manifesto Uda:«L’arte è mutevole simpatia verso un oggetto il quale cambia col cambiare della simpatia.»

 


[1] Per accennare ad un percorso del realismo verso il neorealismo attraverso il verismo, segnaliamo  che  Manzoni, ne  I promessi sposi, con l’invenzione del manoscritto ritrovato,  adotta uno stratagemma diverso da Verga per giungere allo stesso risultato dell’occultamento dell’autore dietro la sua opera. Lo stesso  stratagemma torna nell’ultimo romanzo di Carlo Bernari Il giorno degli assassinii (cit.) in cui all’autore perviene per posta un manoscritto anonimo.

[2]Verga Giovanni, Prefazione aI Malavoglia, in Id., Opere, a cura di L. Russo, Milano–Napoli, Ricciardi, 1965, p. 179.

[3] La critica  è sempre stata ambivalente per non dire ambigua sul rapporto tra fotografia e letteratura nell’opera verghiana. Secondo Vincenzo Consolo, ad esempio: «non c’era insomma nessun rapporto tra la scrittura e le fotografie di Verga […]» , salvo poi aggiungere  «senonché, fotografando, l’uomo Verga fatalmente riportava nelle immagini quello che era l’“occhio,” il sentimento, il modo di essere e di sentire dello scrittore.

Riportava quell’occhio “fotografico,” quell’obiettivo ‘impersonale’ che guarda come dall’alto i personaggi dei Malavoglia …»  e quindi concludendo «secondo noi, semplicemente le foto di Verga, dell’uomo Verga ritornato, prima idealmente e sentimentalmente, poi anche fisicamente, dopo anni di lontananza, alla sua Catania…e qui deponendo la penna, si mette a fotografare, per passatempo.»Consolo Vincenzo, prefazione a Verga fotografo, a cura di G.G. Garra, Catania, Giuseppe  Maimone Editore, 1990, p. 6.

L’analisi sbrigativa di Consolo è la cartina di tornasole dell’impostazione critica seguita  anche  da Leonardo Sciascia, Alberto Asor Rosa, Gino Tellini, le posizioni dei quali sono riassunte in un saggio di Giuliana Minghelli, che si conclude con una frase assolutamente incomprensibile e che denota serie difficoltà interpretative: «lungi dall’essere memento innocui, le foto per Verga sono oggetti inquietanti.». Minghelli Giuliana, L’occhio di Verga. La pratica fotografica nel Verismo italiano, online http://ebookbrowsee.net/003-minghelli-verga-x-doc-d132393274

[4]Bahr Hermann, Il superamento del naturalismo, scritti 1888–1904, a cura di Giovanni Tateo, Milano, SE, 1994.

[5] Iibid.Bahr, Verità! Verità!, in Il superamento del naturalismo, cit., p. 69.

[6]Ibid. Bahr, Verità! Verità!,in Il superamento del naturalismo, cit., p.  71.

[7]«[…] non credano gli scrittori d’essere artisti perché hanno qualcosa da dire; tutto sta nel modo di dire…»Alvaro Corrado, La politica teatrale, sta in I maestri del diluvio, a cura di D. Manera e M. Sinibaldi, Massa,  Memoranda Edizioni, 1985, p. 45.

[8]Ibid. Alvaro, La politica teatrale, sta in I maestri del diluvio, cit., p. 72.

[9] Che cosa è la verità?  è la domanda platonica rivolta da Ponzio Pilato a Gesù. Cfr. Giovanni 18, 37.

 

*Ringraziamo Enrico Bernard, scrittore, commediografo, editore (testo già apparso su academia.edu)

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