Umberto ROSSI- Storia di un deportato (“Il figlio di Saul”, un film di Lazlo Nemes)
Cinema Recensioni brevi*
STORIA DI UN DEPORTATO
“Il figlio di Saul”, un film di Lazlo Nemes
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Il figlio di Saul (Saul Fia) segna l’esordio nel lungometraggio narrativo dell’ungherese Lazlo Nemes. Il film ha vinto il Gran Premio della giuria all’ultimo Festival di Cannes e ha una struttura abbastanza originale anche se ricorda da vicino quella adottata da Jan Němec per Démanty noci (Diamanti nella notte, 1964) uno dei capolavori di quella Nová Vlna che ha segnato il rinnovamento del cinema cecoslovacco negli anni sessanta.
La somiglianza riguarda il modo in cui la macchina da presa è costantemente sul protagonista lasciando gli altri personaggi e il panorama sullo sfondo, spesso colto in modo indistinto o decisamente sfuocato. La storia è quella, terribile, di un appartenente ai sonderkommandos (unità speciali di deportati, in gran parte ebrei, che furono scelti dalla SS per collaborare al processo di sterminio degli altri prigionieri nei lager nazisti) che, un giorno si vede passare sotto gli occhi il cadavere del suo giovane figlio. A questo punto l’unico scopo della sua vita diventa quello di dare alla salma, assistito da un rabbino, sepoltura degna. Non ci riuscirà e sarà travolto anche dalla repressione tedesca quando si troverà a partecipare, quasi per caso, a una rivolta dei deportati.
La forza del film è nella capacità di ricreare l’angoscia e lo spirito incubico che regna nel campo di Auschwitz – Birkenau nell’ottobre del 1944, pochi mesi prima dell’arrivo dei soldati dell’Armata Rossa. Il film è positivamente cupo, disperato e ha il merito di ricordare a settantun anni di distanza una delle più grandi tragedie del novecento.
*Ringraziamo U. Rossi, collega di Cinemasessanta e direttore di Cinemaeteatro.com