Francesco NICOLOSI FAZIO – Mafiascismo, unico ascensore sociale (a proposito del caso Volkswagen)
Mafiascismo
UNICO ASCENSORE SOCIALE
Il caso Volkswagen è la punta di un mostruoso iceberg
****
Ci stupisce lo stupore: I tedeschi truffano i clienti quasi come i magliari degli anni sessanta. Chi l’avrebbe mai detto!?!? Forse proprio detto nessuno, neanche il governo tedesco. Ma pensato in tanti e saputo in pochi, potenti, sempre pronti a smentire, anche dinanzi all’evidenza. L’incidente è avvenuto negli USA, che sfruttano il “fattore campo” a loro piacimento, come già accaduto con Blatter, con le tangenti ENI in Nigeria, con le sanzioni contro la Russia. Ricordo lo scandalo ENI-petronim dove dagli USA, nei settanta, arrivò una denuncia per la corruzione italiana in terre arabe. Il sistema economico del sedicente “libero mercato” si poggia sempre sul malaffare. Una serie di contigue “porte girevoli” tra multinazionali, governi e mafie. Lunghissime liste d’attesa.
In Sicilia, patria della mafia, il discorso è evidente, soprattutto per uno stile di vita che coinvolge la stragrande maggioranza della popolazione. Difatti stimiamo la popolazione mafiosa pari a circa 500.000 (cinquecentomila) persone, comprensive di affiliati, conniventi e prestanome, pari a circa il 10% della popolazione, con percentuali più alte dove più alto è il potere (tra l’usciere ed il Presidente il “pungiutu” è quest’ultimo). Sulla restante parte della popolazione siciliana, di circa 4,5 milioni di persone, accade forse di peggio: non si vive di mafia, ma di mafiosità, infiniti esempi di “modus operandi” e mentalità che prendono a modello il mondo criminale. Ecco che ogni attività presuppone un comportamento mafioso: l’appartenenza; l’intimidazione; l’illegalità diffusa, il dispregio del merito e della dignità dei lavoratori…. e via mafiosando.
Riprendendo Sciascia, essendo la Sicilia una vera e propria metafora e considerando che il “limite meridionale della palma” è giunto quasi al Circolo Polare Artico, ecco che quanto accaduto in Germania è solo la punta dell’iceberg. Forse anche sopra il ghiaccio, alla deriva sugli oceani boreali, cresce la palma. La mentalità mafiosa è il segno più evidente della globalizzazione del capitale mondiale.
Ma l’effetto più triste di questo aspetto della globalizzazione si avverte nella nostra nazione intera, dove il lavoro è ormai relegato a meno che merce (gioventù 500 Euro) e raggiungerlo presuppone il percorrere vie traverse. Un chiaro esempio è stato dato dalla recente sentenza sulle assunzioni alla Municipalizzata AMA (rifiuti) di Roma. Tutte le assunzioni sono state ritenute illegali e pertanto annullate da una sentenza penale. Questo è un evento straordinario, lo straordinario è che la magistratura ha potuto smontare un sistema che riteniamo diffuso in tutta Italia, dove le municipalizzate, i consorzi e le cooperative agiscono in modo anfibio: gestiscono capitali pubblici, con criteri molto privati, dove le assunzioni sono solo un aspetto marginale del malaffare.
Pertanto i giovani di oggi sono quasi costretti a rivolgersi a questi gestori del malaffare per trovare una occupazione, stante il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego e la crisi poliennale che non consente nuove assunzioni alle imprese, quelle non mafiose.
Ancor più grave è l’aspetto che determina, all’interno della generazione giovanile, la certezza di non poter lasciare la classe di appartenenza “guadagnando” un miglioramento, grazie al loro lavoro. Si è bloccato l’”ascensore sociale”. Chi è figlio di operaio morirà operaio, sia per le difficoltà culturali, comprese quelle di inserimento all’università, ma soprattutto per la mancanza di “conoscenze”: la capacità relazionale dei propri genitori è termine essenziale per una occupazione di alto (medio, discreto) valore professionale.
Ecco che intere fasce sociali, milioni di giovani, sono pressoché spinte dal sistema verso l’unico “ascensore sociale” che è rimasto: la criminalità. Quando i “don” non hanno all’interno della famiglia i ‘colletti bianchi’ necessari, possono attingere nel mare magnum dei professionisti dis/sottooccupati; ciò garantisce al giovane “figlio di nessuno” una presenza (non definitiva) nel mondo del lavoro di tutto “rispetto”.
Stranamente per il professionista si aprono subito tutte quelle porte che restavano prima chiuse. In tutti gli ambienti che “contano”.