Vincenzo SANFILIPPO- Scoppia la coppia e scappa (“Professione:separata!”, una commedia di S. Scirè)
Lo spettatore accorto
SCOPPIA LA COPPIA E SCAPPA
“Professione:separata!” Al Teatro dei Satiri Roma. Una commedia scritta e diretta da SALVATORE SCIRE’
Con Francesca Milani, Gabriella Di Luzio, Raffaele De Bartolomeis, Andrea Quintili, Debora Zingarello, Marina Benetti, e con l’amichevole partecipazione in video di Manuela Lucchini (conduttrice del TG – 1) -Musiche originali di Francesco Scarpino e “I Figli del Sole”, storico gruppo di Sersale (CZ).
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Nelle sue commedie Salvatore Scirè spesso affronta il variegato mondo della coppia raccontandone i repentini conflitti. In Professione: Separata! ancora una volta una coppia in crisi diventa il perno su cui costruire un esilarante spettacolo estremamente comico, simile a una pochade contemporanea intrisa di avidità e di corruzione. Un bel testo basato sulla fluidificazione d’una teatralità immediata, imprevedibile di sorprese, che accende l’ilarità della platea grazie alle situazioni paradossali che conferiscono alla scrittura una forte densità di intrecci “impensabili”.
La dimensione speculare di questa corruzione dei costumi sociali ci è data dall’inserimento in scena di originali inserti di cronaca televisiva affidata a Manuela Lucchini, conduttrice del TG-1, la quale in video interagisce paradossalmente con gli attori arricchendo la commedia con un “ cammeo” prezioso di contaminazioni multimediali, finalizzato ad amplificare il tema sociale del divorzio.
L’autore, molto vicino ai modelli umoristici della commedia teatrale e cinematografica, aggiornati alla crudeltà e cinismo d’oggigiorno, racconta una vicenda di divorzio scaturita da nevrosi reciproche, in cui un Lui professionalmente affermato e parossisticamente innamorato della moglie, viene a sua insaputa tradito da Lei che, assillata da una mancanza affettiva da colmare, nasconde saltuarie trame di trasgressioni extraconiugali dietro un’impeccabile facciata di ostentato perbenismo.
L’allestimento è strutturato per quadri scenici compositamente molto ben costruiti dall’autore-regista, dove gli attori interpretano i personaggi con creativa verve verbale e visiva apertamente farsesca. C’è da annotare che l’approfondimento psicologico è attenuato rispetto alla caricatura di un linguaggio prossimo alla quotidianità caratterizzato a tratti da figure retoriche, metafore allusive volte a creare particolari effetti che a tratti presentano raffinate “erudite sconcezze”.
Spesso si ricorre all’utilizzo di doppi sensi, molto informali e ricamati, pregnanti spasmodiche malizie, certamente variegate di nevrosi femminili e maschili, dove la mente, si sa, è la grande trasgressiva. Come nel personaggio interpretato da Raffaele De Bartolomeis, nella parte di un vicino di casa e amico del marito, sempre prodigo di sentenze e perennemente in bianco, dal viso stralunato di un Pierrot Lounaire ebbro di desideri sessuali inappagati.
La vicenda si sviluppa e si complica inevitabilmente quando la moglie decide, all’insaputa del coniuge, di chiedere il divorzio ipotizzando di trarre il massimo beneficio dalla separazione, soprattutto come un possibile “business” ( ottenere, cioè, diritti patrimoniali e congruo assegno di mantenimento). Di fatto, l’assegnazione della casa alla moglie costituisce uno degli aspetti maggiormente penalizzanti per il coniuge estromesso. E scenograficamente anche l’ambientazione rispecchia il tema della coppia in separazione che utilizza la casa-teatro come luogo simbolo delle falsità e delle apparenze sociali.
Per arrivare a quest’obiettivo la moglie Marta (Francesca Milani), su suggerimento della sua cara, intima amica Ilaria ( Debora Zingarello) si rivolge a una spregiudicata avvocatessa ( Gabriella Di Luzio) che ha fatto delle pratiche di separazioni una vera e propria professione. Per ottenere la separazione per colpa del coniuge, le suggerisce di far irretire il marito (Andrea Quintili) da una sexy venditrice di enciclopedie (Marina Benetti), per ottenere un sostanzioso assegno e poter volare, una volta separata per colpa di lui, tra le braccia del suo nuovo palestrato istruttore di taekwondo.
E’ nel secondo atto che avviene l’impennata finale a sorpresa la cui sceneggiatura prevede che tutto il progetto, architettato ad arte dalla moglie e dall’avvocatessa, non andrà in porto. Il marito attuerà una propria impensabile strategia di vendetta, quasi un’autopunizione per essere caduto nel tranello; e per vendicarsi dell’ ex moglie fedifraga rinuncerà alla propria remunerata professione , si priverà di reddito, diventerà un “nulla tenente”, ecclissandosi nei limiti intrinseci di un’esistenza al di fuori delle convenzioni di vita sociale.
Con la caduta dei “valori” e delle “certezze” acquisite la pièce si tinge di alcune punte di tragicomica amarezza. Si evidenzia, dunque, la poetica scritturale dolce-amara di Scirè in cui tutti i personaggi, dopo aver gettato via la maschera, appaiono “perdenti” o, in qualche modo, sconfitti.
Il plauso di questa messinscena va comunque a tutti i protagonisti della commedia costruiti e tratteggiati come “ personaggi” che si agitano in un insieme di batture acide e pura follia. Scirè rivela un’idea registica e dunque interpretativa quasi filologica di moduli , procedimenti , espedienti “classici” per far ridere, ovviamente amalgamati a trovate originali e adeguati ai tempi del nostro essere post-moderni . Mentre il disastro su cui stiamo ridendo – ci suggerisce l’autore – si nasconde dietro l’umorismo catastrofico di una realtà demenziale.
Rapporto tra vis comica giocata sul plurimo significato delle gags, tra esperienza e nevrosi del linguaggio che si fa palcoscenico di sensazioni umoristiche, veicolate da un vitalistico narcisismo declinante nella illusione di uno “scherzo continuato” come parodia e come gioco teatrale. La riuscita dell’allestimento va egualmente spalmata su tutto il cast costituito da professionisti di primordine.