Sauro BORELLI- C’era una volta…(“Into the Woods”, un film di Rob Marshall)

 

Il mestiere del critico



C ‘ ERA UNA VOLTA….

“Into the Woods”, il nuovo film di Rob Marshall

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Il classico incipit rituale C’era una volta… si attaglia specificamente a questo nuovo film di Rob Marshall, eclettico esploratore di variabili spunti spettacolari (da Chicago a Memorie di una geisha, Nina, Pirati dei Caraibi),che abbagliato, a suo tempo, dallo strepitoso successo del musical di Sondheim-Lapine Into the Woods (1986) non esita a cimentarsi, appunto, nel tradurre per lo schermo l’orditura complessa, ramificata basata originariamente sulla contaminazione spuria di fiabe già celebri quali Cenerentola, Cappuccetto rosso, Jack il fagiolo magico, Raperonzolo.

Il substrato che poi sottende la realizzazione di Marshall, opportunamente arricchita da musiche e canzoni azzeccate, si rifà – come del resto il musical di Sondheim-Lapine – alle acute intuizioni psicanalitiche di Bruno Bettelheim che, nel suo fondamentale saggio Il mondo incantato – Uso, importanza e significati delle fiabe, individua e spiega il meccanismo pedagogico decisivo per la crescita del bambino.

Chiave di volta per la riuscita dell’intento ambizioso di R  ob Marshall è stato presumibilmente l’aver puntato resoluto nel caratterizzare i personaggi-cardine delle singole fiabe su interpreti sensibili, duttili che, appunto, alle fisionomie precise  evocate in origine dagli stessi autori settecenteschi delle fiabe – Jakob e Wilhelm Grimm – hanno saldato le immagini convenzionalmente celebri di attori popolari come Meryl Streep (una strega di trascinante energia drammatica), Johnny Depp (l’insinuante, infido lupo), ecc. Aggiungete a tutto ciò le rutilanti, chiaroscurali scenografie di Dennis Gassner (mai bosco e luoghi selvaggi sono parsi più credibili) e, davvero, l’esito ha potuto condensarsi così in una giostra “pop” di grande suggestione visuale e canora.

Del resto, la materia narrativa per sé sola marcia spedita, seppure intricatissima, attraverso le vicende e i personaggi delle singole fiabe che così si dipanano progressivamente: un fornaio e la moglie vogliono ardentemente un figlio, ma tale desiderio sembra irrealizzabile. Sopravviene allora una travolgente strega che promette loro di poter esaudire una tale aspirazione purché essi stessi consentano a procurarle (entro un certo tempo) una mucca bianca, un cappuccio rosso, capelli dorati e una scarpetta d’oro. Detto e fatto, i due sposi s’accingono alla bisogna, mentre le fiabe di Cappuccetto Rosso, Cenerentola e le restanti storie prendono contemporaneamente corpo inoltrandosi in un bric à brac sempre più intricato e fitto di eventi i più fantastici e sorprendenti. Il tutto contrappuntato da commenti e canzoni destinati a chiarire l’evolversi sempre surreale della situazione.

C’è in tutto questo garbuglio di ricerche affannose e drammatici soprassalti in cui Cenerentola, Cappuccetto Rosso, Raperonzolo, il giovane Jack si incontrano, si scontrano mossi dai rispettivi desideri un sottofondo metaforico teso a dimostrare che, per quanto azzardato, non esiste alcunché  di immotivato, di indebito anche nelle più temerarie avventure. E, anzi, che proprio cimentandosi, con fatti e misfatti tanto della realtà quanto della fantasia, si possono toccare risultati in qualche modo gratificanti, utilmente vitali.

Certo, assistere alla proiezione di un film come Into the Woods implica, di necessità, un interesse, un’attenzione riacutizzati poiché estorcere un senso da quel caravanserraglio che passa precipitosamente sullo schermo occorre preliminarmente riflettere sullo spessore intrinseco delle suggestioni fiabesche che stanno al fondo dell’intiero spettacolo.

Ovvio, lo stesso film può essere visto e fruito con tutto esteriore atteggiamento, ma se si vuole cogliere in particolare la sostanza autentica di un racconto strutturato con sapienza attraverso strati narrativi più sofisticati, è essenziale ripensare allo scopo primario delle fiabe.

E, questo, non è compito esclusivo di un film quale Into the Woods, ma piuttosto delle teorie, delle intuizioni certo acute – come si diceva più sopra – di psicanalisti come Bruno Bettelheim o come recita la più aggiornata pedagogia infantile. Specie, quando si prospetta la radicale distinzione tra favola e fiaba poiché la prima ha una funzione moralistica, precettistica, mentre la seconda enfatizza e privilegia l’affermazione individuale, anticonformistica. A questo punto il meglio che si possa dire del film di Rob Marshall è proprio il fatto che non racconta favole, ma trasgressive, creative fiabe.

Author: admin

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