Sauro BORELLI- Keaton, eroe in crisi (“Birdman”, un film di Alejandro G. Inarritu)

 

Il mestiere del critico


 

KEATON, EROE IN CRISI

 

“Birdman”, il nuovo film di Alejansdro G. Inarritu

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Dire che Alejandro González Inarritu – fin dal nome ridondante – è un individuo dal carattere ipertrofico è semplicemente constatare un dato di fatto. Il suo cinema, per di più, risulta giusto il rispecchiamento d’una simile identificazione. Tra le ultime sue cose, infatti – Biutiful e Babel –, si possono agevolmente rilevare spunti e momenti, tanto tematici quanto espressivi, di un parossismo insistito e ricorrente destinato a sublimarsi in vicende e personaggi ai limiti del grottesco. Nel suo nuovo film, Birdman, il cineasta messicano, approdato alla vasta notorietà proprio in forza di questa sua personalissima attitudine all’enfasi, all’inzeppare le sue storie di fatti, eventi anche tutto eterogenei, si inoltra, ben altrimenti, in una tragicommedia che da una parte s’ispira al racconto di Raymond Carver Di cosa parliamo quando parliamo d’amore; e dall’altra tira in campo la figura fantomatica di un eroe da fumetto, appunto Birdman, munito di debito costume a scaglie e d’una maschera da uccellaccio rapace.

Il tutto per imbastire la traccia conduttrice di un attore, già celebre per l’interpretazione del “favoloso” Birdman, determinato, nonostante l’appannamento della sua notorietà, a riciclarsi, costi quel che costi, in teatrante a tutto tondo (produttore, regista, protagonista del testo menzionato). L’intento? Attestare la liceità della sua pretesa ambizione di essere compiutamente un artista.

Naturalmente, tale filo rosso che percorre l’intiero film Birdman, impone a Inarritu di puntare su un interprete di eclettico, sperimentato mestiere, poiché gli interminabili piani-sequenza (arieggianti al miglior Hitchcock) su cui si articola la farraginosa storia esigono l’incombente presenza del deus-ex machina del racconto. Ovvero dell’irruento, nevrotico, straparlante attore in crisi d’identità Riggan Thomson. E, per l’occasione, Inarritu (ben coadiuvato per la densa sceneggiatura dai suoi più assidui collaboratori) ha privilegiato con indubbio fiuto il duttile professionismo di Michael Keaton (significativamente in passato nei panni dello svolazzante Batman) qui al meglio di una prestazione tra appassionato istrionismo e più meditata maestria.

Non bastasse tanto, il contesto dei ruoli maggiori si basa su una compagnia di attori che incarnano con esemplare misura i rispettivi caratteri. Ma andiamo con ordine. Riassumendo con approssimazione calcolata: Riggan Thomson, tormentato dall’idea di riproporre la propria presenza, dopo i fasti del passato nel ruolo del fumettistico Birdman, si accinge ad allestire le ultime prove generali dello spettacolo desunto da Raymond Carver. Nel corso delle movimentate prove e riprove incalzanti contrattempi determinati ora dalle attrici Lesley e Laura (rispettivamente Naomi Watts e Andrea Riseborough) docili in scena, ma bizzose fuori, ora dal subentrante comprimario Mike (Edward Norton) presuntuoso, isterico adepto dell’Actor’s Studio; e ancora dalla figlia ex drogata di Riggan, Sam (Emma Stone) e dall’ex moglie dello stesso Sylvia (Amy Ryan) impastoiano le cose in modi e toni costantemente sovreccitati anche da dialoghi di volta in volta ferocemente sarcastici o desolatamente nostalgici.

Tra un soprassalto e l’altro, ove Riggan, sempre più disorientato e deluso dalla propria impresa sempre sull’orlo del disastro, le prove generali prendono corpo, non senza pazzesche esibizioni del proteiforme Riggan, fino alla serata risolutiva coronata da un vasto quanto impreveduto successo. Mentre nell’epilogo, a metà favolistico con Riggan incalzato sempre più dall’eroe d’un tempo, Birdman, a metà trasognato nel vagheggiamento di improbabili vie d’uscita se ne va, come si dice, per la tangente verso l’infinito del cielo e dell’ambiguità. Ciò che ribadisce quanto andavamo dicendo all’inizio: Inarritu è un autore degli eccessi (persino la pioggia di candidature agli Oscar è sproporzionata). Il campeggiante Michael Keaton e in subordine i bravissimi attori che gli fanno corona danno un apporto (quasi) determinante alla costipata intensità agro-ilare del nuovo Inarritu, un autore (forse) geniale, ma dalle idee troppo precipitose e concomitanti.

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