Francesco NICOLOSI FAZIO- Incontri. Don Marco da Verona (uno dei nostri)



L’inaspettato

 

 


INCONTRI

Don Marco da Verona. Uno dei nostri

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La sensazione è proprio quella di essere in un film. Non come ci capita seduti nel buio della sala, ma dentro la scena, però senza cinepresa. La masseria sconfinata, con chiesa e grandi regali spazi: giardini secolari, ambite  scale, un’aia immensa, palmento ciclopico, un frantoio come labirintica caverna, che si articola sinuosa nell’ambrato dei conci di pietra della volta “reale”. Scene da un matrimonio. Sicilia meridionale estrema. Certamente la sensazione di “set” è molto pregnante, perché il dato è certo: la bella struttura, riconvertita alle feste, è da qualche anno location per film e serial televisivi. Ottima la scelta che Giusy e David hanno fatto per salutare i convenuti. Dopo la cerimonia.

La chiesa barocca, nella città fondata  in onore di Vittoria Colonna, spinge alla ricerca di sensazioni perdute. Anche il laico, in questi casi, deve ricordare i tempi della scoperta di Dio. Anche per questo gli stucchi sono bordati dall’azzurro intenso, come di lapislazzuli, che rimanda all’altissimo cielo. O soltanto al colore dell’epoca spagnola degli “azuelos”, con cui si decoravano di ceramica gli edifici più importanti. E poi il bianco e l’oro. Cielo ed oro, insieme i due poteri.

Raramente l’omelia non sfocia in predica. Diventando difficile da seguire, se non offrendo incoercibili vie di fuga. Già l’accento veneto, ma leggero, ci aveva attirato, per poi essere catturati dalle citazioni poetiche, concise e pertinenti, ricordiamo alcuni premi Nobel, tra cui Neruda, e poi la Merini e Pasolini. Una linea di pensiero portata  sul filo dell’amore, per la vita, la famiglia, la propria terra.

Ed un concetto forte: il massimo di amore per la propria terra, la Sicilia, è quello di affrancarla dalla presenza mafiosa. Mentre invece l’amore per la Sicilia, una presunta “sicilianità”, diviene spesso la premessa per l’accettazione della mentalità mafiosa. Il sacerdote chiudeva citando a modello proprio chi, per la libertà dalla mafia, ha dato letteralmente la vita.

Alla fine della festa, dopo un agognato squarcio di sole, un omaggio agli sposi. Con il sottofondo di una fisarmonica dai toni parigini abbiamo assistito ad un vero spettacolo. Solo due mani, leggere e volanti, con alla cima dell’indice due sfere morbide, due pierrot dai tratti tenui e dai sessi lievemente definiti. Una danza, una lotta scherzosa, un conflitto benefico, che sfocia nell’abbraccio e nell’unione. L’artista (realmente) è lo stesso sacerdote, Marco che viene apposta da Verona per celebrare l’unione. Prima dei voti, un artista delle marionette.

Si rende chiara e palese la certezza di alto sentire avvertita nella cerimonia e nella giornata intera. Anche il non credente, come chi scrive, viene rapito dalla “realtà”: un insieme di coincidenze, di assenze, di eventi straordinari e miracolosi, di segni, avevano consentito la felice giornata. Una serie di passaggi di testimone tra questa e la vita che ci aspetta, con un coro di amori che da paterno e filiale si trasforma in amore puro, quello che fa nascere le unioni,

Officiante Marco, che sappiamo essere uno di noi. Mentre si apriva uno spiraglio nel cielo, nel tramonto d’autunno.

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