Francesco NICOLOSI FAZIO- Tele come vele (Nelle opere di R. Ferlito)

 

Arti figurative

 


TELE COME VELE

Allestimento mostre

La teatralità dell’opera di Raimondo Ferlito.

****

Sulle lave i Greci non costruivano. La scogliera tra Katane e Naxos per essi non fu mai d’approdo, forse memori del terrore d’Ulisse per il Ciclope, che gli negava il ritorno. Il Nostos che è più della nostalgia. Ritornare come rinascere.

Ri-nascere. Vorremmo tutti un’altra chance. Noi uomini certo, ma anche gli oggetti, i monumenti, le opere d’arte. Per questo il restauro è arte taumaturgica, che riesce a dare nuova vita ad immagini ormai evanescenti, a volte illeggibili.  Restauro come lettura vera di un messaggio, cifrato, se non criptato. Messaggio ancor più nascosto se pensiamo al mistero del retro del quadro, al rifodero che mai ha offerto all’occhio umano il suo essere, che per tale motivo è stato solo oscuro e silente divenire.

Proprio le tele di rifodero prende Raimondo Ferlito e porta a nuova vita. Mostra, scopre e s-vela universi nascosti, che, forse come volando, sono migrati dalla tela colorata al suo retro di bianco antico, tramite simbiotico legame, spesso secolare. L’artista fa rinascere una vicenda, un sogno, non solo un segno, comunque caldo, forte e deciso. Si coglie dedizione ed amore, tra le “trame” delle opere. Trame di fili, come vicende, come fotogrammi di narrazioni, scene oltre il sipario, scene di una teatralità forte e garbata, perché vera più della realtà, massimo livello della scena, quando a ciò giunge.

Così ci incitava, a parlare ed al parere, Antonio D’Amico, noi con lui, in bella e felice serata di presentazione di opere di Raimondo; perché le “inquadrature” dell’artista sono vere e proprie narrazioni, che stimolano anche il critico teatrale, oltre che d’arte. Di contro è anche risaputo che  il cinema entra nell’arte figurativa, mostrando equilibri di masse ed esplosioni di cromie che incantano l’occhio dello spettatore, divenendo poderoso elemento a sé stante, come sola immagine, aliena dal contesto della narrazione. Così l’opera pittorica di Ferlito, specularmene, è immagine che sottende una storia, una scena, una vera e propria quarta parete, da cui fuoriescono sentimenti, oltre che sembianze, vicende dall’aperto epilogo.

La teatralità della sua pittura si incrementa di una caratteristica che è patrimonio narrativo esclusivo dell’arte cinematografica: il particolare. Il cinema è l’arte che riesce a narrare anche con l’aiuto dei soli oggetti. A volte la fredda inquadratura della classica “arma del delitto” offre all’immaginario dello spettatore una vera e propria sequenza di orrori e terrori, vicende immaginate che non riuscirebbero altrettanto bene neanche con lunghe sequenze di scene attoriali e metri di pellicola.

Ecco che, componendo quattro antichi chiodi (un tempo usati per fermare il rifodero, chiodi di legnosa canna), Raimondo assembla una più che viva farfalla, un imprendibile insetto che è colto nell’istante della sua ideazione, come se stesse per spiccare il volo, oppure terribilmente attratto, come notturna falena, dalla bellezza del quadro, ed ad esso (adesso?) per sempre unito. Attimo eterno.

A volte le sue opere riflettono, in modo labile e chiaro, anche opere antiche, come se lanciassero un ricordo che passa dall’artista antico, al moderno e poi alla tela. A volte anche una antica iscrizione, una narrazione, un “cuntu”.  Una rivisitazione duplice, del supporto e della figura, una rivisitazione che si ricongiunge ad un altro artista, all’artista che, tra gli altri modelli, ispirò le prime opere di Ferlito: Giorgio De Chirico. Superando la dimensione strettamente figurativa, il nostro artista mantiene il contatto con la tradizione, rafforzando un segno dal messaggio vagamente metafisico, sospeso, che si scompone in moduli, in sottolineature, che inquadrano e riquadrano il messaggio ricercato. Diventando vere e proprie in-quadrature di una narrazione viva.

Una pittura in divenire, una constante ricerca che trasmette una calda tensione morale. Una ricerca che si estende anche al titolo dell’opera, titolo sempre voluto e calzante. Con il tema ricorrente del ritorno, del “nostos” che, pur nel chiuso di sale, ma dinanzi alle sue opere, ci coglie come al largo di mari mai solcati, o forse semplicemente smarriti, nelle tante rotte che la vita ci fa varcare. Una via segnata impercettibilmente e stabilmente sull’onda del mare, come evanescente schiuma, una rotta che si (e ci) ricollega sino all’antica Grecia, al mare dell’arte che ci fa naviganti, pronti alla grande poesia del Sommo, destinati al “disio che intenerisce il core”.

Anche le tonalità sanno di desueto e vissuto, come le stesse tele di antico lino, sacri veli, come reliquie, spiriti che si vestono di calore arcaico, con sfumature di antichissimo futuro. Perché lo straordinario delle opere di Raimondo Ferlito è che in esse si percepisce un senso di nuovo, come un gusto di fondo, una freschezza stridente e conseguente alla rielaborazione di antichi retaggi. Senza alcun sentore di voluta ricerca di banale “novità”. Invece lui ricerca e raggiunge una sua “verità”. Raggiunge un’arte, come bene-dicevano i nonni, “scevra da ogni finzione”.

Un “vero” sempre odierno, storico e costante, che ci riconduce a tutta la nostra memoria, che di arte si compone, arte di ogni tipo e norma, quindi universale. Per navigar nel mare del sentire che è più antico e più forte del sentimento.

Così finalmente riapproderà nella ciclopica Aci natia, naufrago Ulisse. Sull’onda del segno e del ricordo. Sospinto da una tela che il sogno s-vela.

Author: admin

Share This Post On