Rinaldo CENSI- Festival di Locarno. A lezione da Jean Marie Straub




Locarno 2014*



A LEZIONE DA JEAN MARIE STRAUB

“Kommunisten”, il suo nuovo film, è un saggio, un’analisi senza paraocchi attraverso il Novecento, tra Malraux e i frammenti die suoi film precedenti


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«Non parla por­to­ghese, ma solo capoverdiano.È una lon­tana parente di Ven­tura». Atten­diamo l’inizio di Kom­mu­ni­sten, nuovo lavoro di Jean-Marie Straub, qui a Locarno in una copia lavoro, chiac­chie­rando con Pedro Costa. Vita­lina Varela è un magne­tica donna capo­ver­diana. È la prima volta che com­pare in un suo film. Il pros­simo lavoro ruo­terà pro­ba­bil­mente su di lei. Le figure che com­pon­gono que­sta infi­nita saga capo­ver­diana, la sua per­so­nale Yok­na­pa­ta­w­pha, sem­brano desti­nate ad aumen­tare di numero. Ma le luci si spen­gono, la chiac­chie­rata si inter­rompe e noi fac­ciamo un passo indie­tro.


Un’ora e mezza prima. Il tempo di vedere altri due nuovi film rea­liz­zati da Jean-Marie Straub: A pro­pos de Venise, tratto da Amori et dolori sacrum. La mort de Venise, scritto nel 1916 da Mau­rice Bar­rès, scrit­tore e poli­tico discusso (Dada lo pro­ces­serà), che nel 1887 aveva visi­tato per la seconda volta la città lagu­nare, e Dia­lo­gue d’ombres, novella pub­bli­cata da Geor­ges Ber­na­nos nel 1928, sulle pagine della N.R.F. Que­sto secondo lavoro porta anche la firma di Danièle Huil­let.

Si tratta infatti di uno dei primi pro­getti della cop­pia, risa­lente addi­rit­tura al 1954: un dia­logo ser­rato tra due amanti, tra rifles­sioni su Dio, morale, slanci roman­tici (maschili) e lucide, pun­tute repli­che (fem­mi­nili). Caden­zato da un mon­tag­gio alter­nato che coglie sepa­ra­ta­mente le due figure dia­lo­ganti, il film è — per chi cono­sce il lavoro di Straub — una lezione (l’ennesima) su come si costrui­sce e si declina lo spa­zio cine­ma­to­gra­fico.

A pro­pos de Venise si pre­senta dav­vero come un pic­colo mira­colo. Un tronco d’albero sui bordi del lago Lemano, lo scia­bor­dio dell’acqua, il suono in presa diretta e la voce fuori-campo, i cambi di luce (stac­chi d’inquadratura sull’asse): il film con­cen­tra un numero così alto di infor­ma­zioni nello spa­zio di una sin­gola inqua­dra­tura che diverse visioni non baste­reb­bero per coglierle tutte quante.
C’è qui, in que­sto film, tutto l’amore di Straub per Cézanne: l’attenzione per il motif, la sua varia­zione atmo­sfe­rica.

E tutto il feroce sar­ca­smo di Bar­rès (che non rispar­mia Goe­the e nep­pure Cha­teau­briand) emerge dalla re-citazione di Bar­bara Ulrich, così come l’aria dalla Can­tata «pro­fana» BWV 205 di Bach, Wie will ich lustig lachen, posta in chiu­sura del film, in un fram­mento ripro­po­sto di Cro­naca di Anna Mag­da­lena Bach.
Sia A pro­pos de Venise che Dia­lo­gue d’ombres accol­gono infatti al loro interno un fram­mento di Cro­naca di Anna Mag­da­lena Bach, come se Straub volesse porre in posi­zione dia­let­tica la sua stessa fil­mo­gra­fia. È un metodo di lavoro non nuovo, basti pen­sare a Cézanne, il quale al suo interno acco­glieva già La morte di Empe­do­cle (più la Madame Bovary di Renoir).

Ma l’esempio più felice è sicu­ra­mente Pro­po­sta in quat­tro parti, rea­liz­zato da Straub e Huil­let nel 1985 per «La Magni­fica Osses­sione», pro­gramma di Rai Tre/Fuori Ora­rio. Una sorta di film-saggio che com­pren­deva al suo interno un film di Grif­fith (A Cor­ner in a Wheat) più estratti dai loro Mosè e Aronne, Fortini/CaniDalla nube alla resi­stenza. Kom­mu­ni­sten sem­bra nascere da una costola di quel lavoro.
Così quando le luci si spen­gono ci tro­viamo di fronte ad un film com­po­sto da un dia­logo estratto da Le Temps du Mépris di Mal­raux (1935), più fram­menti di Ope­rai, con­ta­dini (La spe­ranza), Troppo pre­sto, troppo tardi (Il popolo – lavo­ra­tori che escono dalla fab­brica a Il Cairo), Fortini/Cani (pano­ra­mi­che su Le Apuane), La morte di Empe­do­cle (il verde dell’utopia comu­ni­sta), Pec­cato nero (Nuovo mondo).

Della novella di Mal­raux, poco cono­sciuta, addi­rit­tura espunta dalle Oeu­vres com­plè­tes edi­tate dalla Pléiade, ispi­rata pro­ba­bil­mente da Die Prü­fung: Roman aus einem Kon­zen­tra­tion­sla­ger, romanzo semi-biografico di Willy Bre­del, scrit­tore comu­ni­sta tede­sco, arre­stato da Hitler e sbat­tuto in un campo di con­cen­tra­mento, Straub man­tiene la parte dell’interrogatorio (è lui l’inquisitore fuori-campo). Il risul­tato di que­sto mon­tag­gio dia­let­tico è una magni­fica quanto feroce disa­mina del ‘900. Il cui giu­di­zio finale viene lasciato a Danièle Huil­let, con quel «Neue Welt?» höl­der­li­niano che chiude Pec­cato nero e – insieme – que­sto film.

Ritorna in mente quel Wie will ich lustig lachen di Bach. Il mondo, per Straub, non se la passa bene. Que­sto film è allora forse una pre­ghiera laica per un’utopia comu­ni­sta, sem­pre a venire.(ilmanifesto.it)

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