Franco LA MAGNA. La memoria. E.Caracciolo, il regista trucidato alle Fosse Ardeatine

 

 

 

La memoria

 

EMANUELE CARACCIOLO

Il regista trucidato alle Fosse Ardeatine

   
Caracciolo,
a Cinecittà, con Amedeo Nazzari

 

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C’era anche lui, Emanuele Caracciolo (nato a Tripoli nel 1912 da genitori pugliesi), quel tragico 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine, trucidato dai nazisti insieme ad altri 333 sventurati, perlopiù appartenenti a formazioni legate alla Resistenza. Regista (fu uno dei primi frequentatori del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, allievo di Blasetti e Gallone), Caracciolo inizia la carriera come soggettista (tra gli altri scrive “I fratelli Castiglioni” di Corrado D’Errico), arredatore (“Felicita Colombo” di Mattoli, “Gatta ci cova” di Righelli, “Il feroce Saladino” di Bonnard, di questi ultimi protagonista Angelo Musco), quindi  aiuto regista a fianco di Gallone (“Giuseppe Verdi”, “Marionette”) e ancora direttore di produzione (“L’arcidiavolo” di Fringuelli), ma alla bisogna anche costumista e addirittura comparsa.

Insomma un “animale” di cinema a tutto tonto, destinato probabilmente ad una lunga carriera nel mondo della “settima arte”, se la vendetta nazista non l’avesse raggiunto e stroncato a 31 anni. Arrestato, perché membro della Resistenza, barbaramente torturato e quindi condotto nelle carceri di Regina Coeli, fu trascinato e ucciso (lasciando una moglie e una figlia) in quel tragico luogo, ora mausoleo dedicato ai martiri delle cave di pozzolana.  

                                                                                                                             Intellettuale eclettico, esponente del “Futurismo” (Marinetti gli affibbiò l’epiteto di “futurista veloce”, i suoi scritti sono stati raccolti nel volume “Cronache futuriste 1932-1935”, curato da Salvatore Iorio), ha diretto copiando – il titolo da una nota aria belliniana di “Norma” – l’esile ed evanescente “Troppo tardi t’ho conosciuta” (1940), tratto dalla commedia “Il divo” di Nino Martoglio, ritenuto smarrito ma fortunosamente ritrovato a Cuneo dallo storico del cinema Lorenzo Ventavoli., suo unico film e unica interpretazione del tenore di Paternò  Franco Lo Giudice.

Bonaria ed esile come il filo d’una spagnoletta la trama: Tonino, un ingenuo tenore conosce un’avventuriera che lo irretisce; su consiglio del padre finge di perdere la voce per sbarazzarsene, ma la perde davvero. Al fatale abbandono della maliarda subentra però una dolce giovinetta con la quale il tenore si sposerà, ritrovando anche la voce e sfornando una covata di figli. Tra gl’interpreti: Barbara Nardi definita “le più belle gambe degli anni ‘30”.

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