Andrea FABOZZI – Specchietti e allodole. Arriva il bonus elettorale



Specchietti e allodole*

 



ANNUNCIATO E PUNTUALE, ARRIVA IL BONUS ELETTORALE

Manovra. Renzi corre senza ostacoli. Nessun intervento strutturale, ma occhio al 25 maggio. Il presidente del Consiglio ruba a Berlusconi anche la polemica con i magistrati. L’ex Cavaliere in fuga, cancella l’uscita in tv

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«Ogni pro­messa è un debito» dice Mat­teo Renzi dalla tri­buna elet­to­rale di palazzo Chigi. Ogni? Il Con­si­glio dei mini­stri ha tro­vato i soldi per gli 80 euro in più in busta paga, ma solo per i pros­simi sette mesi. Il pre­si­dente del Con­si­glio l’aveva annun­ciata come una misura «strut­tu­rale», invece non ci sarà alcun inter­vento sulle detra­zioni Irpef. Sarà un «bonus», da misu­rare imme­dia­ta­mente con il «malus» della nuova tassa, la pesan­tis­sima Tasi. E non sarà per tutti. Sono esclusi i più poveri, gli «inca­pienti». Chi gua­da­gna meno di otto­mila euro lordi l’anno non avrà alcun bene­fi­cio dal decreto deciso ieri dal Con­si­glio dei mini­stri. Ancora miste­rioso, visto che il governo come con­tri­buto alla tra­spa­renza ha (ri)pubblicato i tweet di Renzi.

Pro­prio per chi sta peg­gio, la pro­messa non vale. Resta solo il debito o meglio i debiti, quelli che devono fare per soprav­vi­vere. Eppure anche que­sto era stato un annun­cio chiaro del pre­si­dente del Con­si­glio. «Per gli inca­pienti tro­ve­remo una solu­zione tec­nica», aveva assi­cu­rato appena dieci giorni fa. La solu­zione tec­nica è un’alzata di spalle. «Ce ne occu­pe­remo nella pros­sime set­ti­mane, mesi», ha detto ieri. Può indi­care una data? «No».

Il «decreto Irpef», dun­que, non con­tiene inter­venti defi­ni­tivi sull’Irpef. Ma solo un buono, che Renzi non vuole si defi­ni­sca «elet­to­rale» per­ché sarà pagato solo dopo le ele­zioni di fine mag­gio. Intanto il primo annun­cio l’ha fatto un mese fa e il secondo ieri, insieme a un po’ di inter­venti di pre­ve­di­bile popo­la­rità. Come la tas­sa­zione delle plu­sva­lenze che le ban­che hanno regi­strato con la riva­lu­ta­zione delle quote di Ban­ki­ta­lia e la fis­sa­zione di un tetto di 20mila euro al mese per gli sti­pendi di molti (non tutti) i mana­ger pub­blici.
Poi basta, però. Per­ché per esem­pio il reto­rico invito alla stampa ad andare a cer­care la parola «sanità» nel testo del decreto (testo che ancora non c’è), come prova del fatto che non ci sono tagli alla sanità, è solo un trucco. I tagli infatti ci dovranno essere: 2,1 miliardi di euro per l’acquisto di beni e ser­vizi da parte della pub­blica ammi­ni­stra­zione, di cui 700 milioni in capo alle regioni. Che avranno 60 giorni di tempo per indi­care i risparmi pos­si­bili, altri­menti scat­te­ranno i tagli lineari decisi dal mini­stero dell’economia. E la spesa delle regioni, com’è noto, è essen­zial­mente spesa sanitaria.

La gran parte dei risparmi dello stato cen­trale, ecco l’altro annun­cio, arri­ve­ranno dalla difesa. Ma solo una pic­cola quota di que­sti (pic­co­lis­sima, 150 milioni), arri­verà dal pro­gramma di acqui­sto degli F35. Nes­sun ripen­sa­mento vero sui costo­sis­simi cac­cia d’attacco della Loc­kheed Mar­tin. Solo uno «slit­ta­mento», il che non auto­rizza nean­che a festeg­giare il taglio defi­ni­tivo di un jet e mezzo (ognuno costa circa 100 milioni).

Val­gono poco le altre voci del decreto rias­sunte alla stampa dal pre­si­dente del Con­si­glio — meno auto blu, ma anche metà spa­zio in uffi­cio per i dipen­denti pub­blici. Ma pos­sono valere molto in ter­mini di pro­pa­ganda elet­to­rale. Come il tanto recla­miz­zato taglio delle pro­vince — com­pli­ca­tis­simo prov­ve­di­mento con il quale si sosti­tui­scono i pre­si­denti e i con­si­glieri eletti con altro per­so­nale poli­tico coop­tato — che alla fine viene messo in bilan­cio per la mise­ria di cento milioni (cioè la metà di quanto si può rac­co­gliere rispar­miando sul costo vivo dei ministeri).

Tutto qui, dun­que, quello che per Mat­teo Renzi è il «primo passo di una rivo­lu­zione». Lui ripete ogni volta in cui gli è data l’occasione (spesso) che sta andando avanti «come un treno». Cer­ta­mente da palazzo Chigi è molto attivo nella pro­du­zione di annunci, così da riman­dare pun­tual­mente il momento della veri­fica dell’annuncio pre­ce­dente. Una pro­messa, allora, vale innan­zi­tutto per­ché resta una pro­messa. Chi non ha avuto nulla oggi (o poco, o rischia di veder­selo por­tare via in altre tasse) può spe­rare in domani e nel frat­tempo votare. Tan­to­più che i binari del pre­si­dente del Con­si­glio sono sgom­bri. Non a guar­dare i numeri in par­la­mento, per la verità. Tant’è vero che solo 24 ore prima della con­fe­renza stampa di ieri, il Docu­mento eco­no­mico e finan­zia­rio che è la cor­nice di tutto era finito sotto la soglia della mag­gio­ranza asso­luta in senato. Ma nella pre­senza sull’informazione e in cam­pa­gna elet­to­rale cer­ta­mente sì: signi­fi­ca­tivo il fatto che Ber­lu­sconi abbia annul­lato all’ultimo momento il suo ritorno in tele­vi­sione, pre­vi­sto pro­prio ieri sera. Non sa o non può attac­care Renzi. Che così gli ruba anche gli argomenti.

Molto voluto e cer­cato è apparso infatti il pas­sag­gio di Renzi con­tro i magi­strati. Col­pe­voli di aver pro­te­stato per gli annun­ciati tagli di sti­pen­dio — imma­gi­nando fos­sero rivolti alla gene­ra­lità della cate­go­ria — tirando in ballo un po’ gof­fa­mente la difesa dell’autonomia delle toghe. Renzi ha avuto buon gioco a ribat­tere: «Non credo che por­tare lo sti­pen­dio di un magi­strato da 311mila a 240mila euro sia un atten­tato all’indipendenza». Impos­si­bile dar­gli torto, tanto che nell’esaltazione del gesto il pre­si­dente del Con­si­glio ha stra­fatto: «Io non com­mento le sen­tenze, loro non com­men­tino le leggi che li riguar­dano», ha detto. Ma no, com­men­tare è sem­pre lecito. Come promettere. (*ilmanifsto)

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