Ma. Ga*- Chiuso nel proprio bozzolo (“Un castello in Italia”, un film di V.Bruni Tedeschi)

 


Cinema    Persi di vista*



CHIUSO NEL PROPRIO BOZZOLO

“Un castello in Italia”, scitto e diretto da V. Bruni Tedeschi

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Louise ha quarantatré anni, un cognome decaduto e un castello in Italia da vendere. La sua vita indolente, spesa tra Parigi e Castagneto Po, un’amena località piemontese, si accende con Nathan, un giovane attore ostinato a corteggiarla. Profondamente legata a Ludovic, il fratello malato di AIDS, lo accompagna nella malattia trovando in Nathan solidarietà e conforto. Il desiderio di una gravidanza compromette però la sua relazione, lasciandola di nuovo da sola dentro una vita di cui non trova il senso e la direzione. Perduto Nathan e morto Ludovic, Louise si ‘abbatte’ come l’ultimo olmo della proprietà di Castagneto. Ma il futuro è alle sue spalle e le sorride pronto a mettere nuove radici.

L’emancipazione dal passato, almeno secondo la psicanalisi, passa attraverso un addio, che è un ritorno ai luoghi e agli eventi che hanno generato il nostro immaginario e determinato quello che siamo. Per Valeria Bruni Tedeschi, regista per la terza volta (È più facile per un cammello…, Attrici), quel congedo avviene attraverso la rappresentazione di una vita familiare spesa in Italia negli anni Settanta e abbandonata per sfuggirne il piombo e l’estremismo.

Un Château en Italie è allora un viaggio biografico a ritroso, uno spostamento teraupetico spazio-temporale che rielabora un passato ingombrante, in cui qualcosa o qualcuno di importante si è perso per sempre. Ancora una volta attrice sull’orlo di una crisi esistenziale, Valeria Bruni Tedeschi ripropone personaggi femminili, single e singolari, declinati in una cornice borghese e in cerca del senso acuto dell’esistenza. Un’inerzia diffusa e una moraviana debolezza della volontà satura il film, interpretato tra gli altri da Marisa Borini, madre di Carla e Valeria, magnificamente a suo agio dietro la macchina da presa e davanti al sorriso di Omar Sharif, assoldato per esaudire un’infatuazione materna mai sopita.

Filippo Timi, dolente e in declino come il suo personaggio, incarna l’aura del fratello Virginio, perduto nel 2006 e ricordato nei titoli di coda. Mai accordata col mondo è invece la Louise di Valeria Bruni Tedeschi, a un passo dalla tristezza e in vista della felicità. Estranea e dissonante, risponde allo stimolo del vivere resistendo nel suo destino agiato e dentro un film incapace di scendere sul terreno del presente, di uscire dalle pastoie di un discorso autoreferenziale e di farsi studio antropologico sulle questioni d’affetto (e odio) tra uomini e donne, figli e madri, fratelli e sorelle.

Un castello in Italia, pur infilando lucidamente la stilizzazione del dolore e della comicità, non si emancipa dalla retorica borghese e dagli interni borghesi, dove intravede in controluce un riferimento ai rapporti travagliati tra le generazioni. L’apatia è la forma dell’esistere dei suoi personaggi, intagliati dal blocco monolitico di una scena (e di una classe) sociale sorpassata e ‘corrotta’ come l’albero dei loro giardini. (*mymovies)

Author: admin

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