Francesco NICOLOSI FAZIO- Ad-Dio (“Notte segreta” di Francesco Randazzo. Teatro Stabile Catania)


 

 

La sera della prima



AD-DIO

 

“Notte segreta” di Francesco Randazzo. Regia: Francesco Randazzo.  Con Emanuela Trovato e Rossana Veracierta.  Allo Stabile di Catania – Sala A. Musco

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Sicilia del 600 (?). Prima del “passo” due giovani novizie, per diventare suore, sono obbligate a passare una notte intera con i cadaveri di due consorelle Clarisse, morte in “odore di santità”, salme sedute su un catafalco atto all’espurgo. Forse per questo da loro giungono strani rumori. Le donne, pur sempre due ragazze, passano la loro ultima notte prima dei voti raccontandosi le loro vite, vite vere e quelle dei loro sogni. Finale aperto, stante che l’ultima parola è “forse”.

Ancora novità allo Stabile di Catania. Novità che funzionano. Novità, per fortuna, senza rottamazioni. Nel senso che tutta una serie di ben riusciti debutti, anche veri e propri esordi, riescono a correlarsi con il vecchio, magari  rivisitato, recentemente ricordiamo Goldoni e Vian.

Castità, povertà, obbedienza, sono i fondamenti della regola delle Clarisse, che prendono nome dalla compagna di Francesco d’Assisi. Un ordine “francescano” che prevede una vita di privazioni, per cui l’ingresso in convento per le ragazze rappresentava l’addio alla vita, soprattutto quando, quasi sempre, la scelta era imposta dalla famiglia.

La messa in scena si impernia sul tema della rinuncia, anche ai sogni, mediante un “memento mori” che si materializza nelle due salme che, convitati di pietra, diventano anch’esse personaggi.. Le due ragazze si scontrano e si incontrano anche se provenienti da diversi ambienti sociali; però la scelta obbligata di far interpretare la nobile spagnola alla iberica Veracierta, tradisce un poco le caratteristiche fisionomiche che appaiono invertite: come se don Chisciotte avesse le sembianze di Sancio Panza e viceversa.

Il testo è interessante ed originale, ma la dichiarata intenzione di mostrare “due personaggi che spesso parlano echeggiando la tradizione dei cunti” (nota), fa debordare il testo verso l’opera esclusivamente letteraria, che a volte, quando è portata sulle scene, cerca l’alibi del “meta teatro”, magari con l’accento sulla a della prima parola, Forse sarà stata la tensione del debutto, certamente l’attenuante dell’opera prima, ma segnaliamo la necessità un maggior lavoro di finitura registica che, siamo certi, troverà la sua dimensione con il necessario rodaggio, augurando tante repliche ancora.

Bravissime le due attrici che interpretano, con dovizia di particolari, un caleidoscopio di sensazioni, sogni e rassegnazioni, che sono tipici di tutti i giovani di ogni epoca e sesso. Carica di significati la garbata scena di curiosità sessuale, che accenna ai risvolti saffici che possono nascere nelle comunità solo al femminile, mentre, per la omosessualità maschile, sono ben colme pagine intere della cronaca mondiale, per fatti accaduti all’interno della chiesa cattolica.

L’originalità del testo si esalta mediante il ribaltamento della macabra messa in scena che diviene, per brevi tratti, anche un luogo di gioco e di gioiosa menzogna, come una sorta di “addio al nubilato” ante litteram. Ma in fondo si sa che le monache sono spose a Dio. Ad-dio appunto.

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