Claudio SARDO*- Senato, Italicum, ma chi eleggerà il Capo di Stato?



Riforme*

 

SENATO, ITALICUM…

Ma chi eleggerà il  Capo dello Stato

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Dopo la riforma del Senato chi eleggerà il presidente della Repubblica? Il progetto governativo affida il compito ai 630 deputati e ai previsti 148 senatori, eliminando gli attuali delegati regionali. Ma l’ipotesi non regge. O meglio, sarebbe compatibile con una legge proporzionale per la Camera, non certo con il sistema iper-maggioritario che si intende confermare. Un forte sbilanciamento dei grandi elettori a favore dei deputati cambierebbe la natura stessa del premio di maggioranza: non solo strumento per favorire la governabilità, ma anche grimaldello per impadronirsi degli organi di garanzia. Peraltro il nostro Paese, come ormai gran parte dell’Europa, ha a che fare con un tripolarismo non facilmente riducibile (alla faccia della retorica sul bipolarismo!). E decidere di affidare comunque il governo a uno dei tre poli in competizione, privilegiando l’efficacia dell’esecutivo e la coerenza della sua maggioranza, richiede una speciale cura nel determinare i contrappesi e le garanzie per le minoranze. Cura di cui allo stato non ci sono tracce sufficienti.
E questo vuoto minaccia la credibilità delle riforme. Se non verrà colmato al più presto con interventi seri e ponderati, il confronto politico può prendere strade senza sbocco. Guai a sottovalutare la coerenza dell’insieme. Anche Berlusconi realizzò nel 2006 un’ampia riforma della seconda parte della Costituzione. Piantò due o tre bandiere nuove, ma il testo era così scadente, il procedimento legislativo disegnato così assurdo e farraginoso che non c’era un solo giurista, neppure di destra, disposto a parlarne bene: per fortuna, il popolo sovrano cancellò l’obbrobrio.
Siccome non si può fallire, bisogna far tesoro di quell’esperienza. La riforma del Senato è strettamente correlata sia con il nuovo Titolo V che con la legge elettorale della Camera. Le tre parti compongono un unico mosaico. Non è un caso che molti critici del progetto governativo abbiano rilanciato la vecchia idea del Senato «delle garanzie» – non «delle autonomie» – muovendo proprio dal carattere iper-maggioritario dell’Italicum. Non è un caso neppure che qualcuno, a destra, stia meditando di proporre l’elezione diretta del presidente della Repubblica per compensare, con un altro voto popolare, il rafforzamento dei poteri del premier.
Entrambe queste risposte al «vuoto» delle garanzie non sono convincenti. Negli ultimi vent’anni si è cercato, senza riuscirvi, di fare del Senato il Bundesrat italiano. Neppure la drastica riduzione dei poteri delle Regioni è ragione sufficiente per cambiare rotta: ci dovrà pur essere una camera di compensazione del federalismo cooperativo. Il problema per il governo è portare avanti con coerenza questa linea: non si capisce, ad esempio, cosa ci stiano a fare i 21 senatori nominati dal Quirinale, e non si capisce neppure perché i rappresentanti regionali non siano più dei sindaci (le Regioni fanno le leggi, i Comuni no).
Comunque, per contestare il Senato «delle garanzie» (al quale affidare le commissioni d’inchiesta, le leggi eticamente sensibili, le nomine delle autorità indipendenti, il ricorso diretto alla Corte costituzionale) non basta l’argomento che i senatori non vanno eletti dai cittadini perché non devono essere pagati. Sarà pure un argomento popolare, ma è così falso e volgare che alimenta i sospetti di autoritarismo. Per contestare il Senato delle garanzie in nome di un Bundesrat all’italiana, bisogna risolvere in modo altrimenti convincente il problema delle garanzie costituzionali. A partire dall’elezione del Capo dello Stato, che deve restare garante e motore di riserva del sistema (nel caso si inceppi il rapporto governo-Parlamento).
È chiaro che per fare ciò bisogna compensare, nella platea dei grandi elettori, il premio di maggioranza della Camera. In Germania il Capo dello Stato è eletto dai deputati del Bundestag e da un numero equivalente di delegati regionali. Ma la legge elettorale tedesca è proporzionale. Da noi si potrebbe integrare una simile platea con i sindaci dei Comuni capoluogo. Così i deputati diventerebbero minoranza e si eviterebbe che premier e presidente vengano eletti con il medesimo premio di maggioranza, determinando una diarchia monocolore che cambierebbe di fatto la posizione costituzionale del Capo dello Stato. D’altra parte, l’elezione diretta del presidente sarebbe una soluzione incoerente: perché le due leadership finirebbero per confliggere, dilatando i rispettivi poteri formali, in nome di una legittimazione diretta per entrambi.(unità.it)

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