Francesco NICOLOSI FAZIO- Contumace (“Scusate la polvere” di E.Seminara.Teatro Stabile, Catania)
Lo spetatore accorto
CONTUMACE
“Scusate la polvere” di Elvira Seminara (nella foto). Riduzione teatrale: Rita Verdirame.
Regia: Giampiero Borgia Con: Loredana Solfizi, Luana Toscano, Giorgia Boscarino, Giada Colonna, Egle Doria Produzione Teatro Stabile di Catania – Al Teatro Musco.
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Un, due, tre, Stella! Il gioco dei bimbi imponeva, al tre, una pausa collettiva.
Una perfetta logica sta dietro le ultime tre rappresentazioni dello Stabile, nel mese che (ancora) è dedicato alla donna. “Otello”, “Il Giuoco” ed infine “La polvere”. L’intelligenza della scelta ed il lento sedimentare delle sensazioni provate, per i tre bellissimi spettacoli, necessiterebbero una breve pausa di riflessione, come nel gioco dei bimbi. Ma, quasi condanna biblica, dobbiamo pronunciarci, magari autonomamente e solo sull’ultimo spettacolo, che, precisiamo subito, si ben accoda ai due grandi classici, con merito innegabile e leggero.
Essendo una prima assoluta è indispensabile dare la trama: Coscienza, a seguito della morte del marito in un incidente, sprofonda (nel fondo di una piscina) in un lutto irreversibile, le amiche Mia ed Alice tentano di risollevarla, ci prova anche la giovane e sexy vicina Ebe. La Madre, sbucando dalle caditoie della piscina, fa finta di interessarsi alla vedova preparando per la figlia torte che mangia solo lei stessa La rivelazione del tradimento, acclarato dalla morte in auto del marito insieme all’amante, scuote la donna, che indaga. Raggiunta la verità Coscienza ne sa meno di prima. Più del mancato tradimento pesa vivere accanto ad un uomo e non conoscerlo.
Testo snello, ricco, quasi opulento, se non onnivoro. Una divertentissima, lunga e brillante teoria di citazioni e rimandi, di nonsense e giochi di parole. Un’opera nata da uno sguardo penetrante ed attento sulla fluida realtà di oggi, una realtà che è andata via come l’acqua dalla piscina, lasciando solo il fondo. Il grande vuoto del lutto, a nostro avviso, stigmatizza il grande dramma del nostro tempo: l’assenza. Di valori, di sentimenti, di uomini e/o donne con cui condividere un futuro, un futuro che nessuno pensa più di scrivere.
Ma la leggerezza dell’opera fa superare di slancio ogni amarezza, anche perché si ride tanto. Il personaggio della madre parla con accento francese. Non sappiamo se per altri riferimenti, ma a noi piace pensare che può essere una sorta di “maternità” dichiarata, un tributo verso la commedia francese ed il cinema d’oltralpe; emergono dalla memoria “Baci Rubati”, e tutto Truffaut, con la struggente “Que reste-t t’il de nos amours”, ma anche nel delizioso “L’amante” (Le choses de la vie) di Sautet con Michel Piccoli, traditore che muore in un incidente.
Uno spettacolo leggerissimo e profondo, che fa ridere a crepapelle, costringendo il pubblico a ripetuti applausi a scena aperta, un’opera che, facendo finta di parlare delle donne vedove di 45 anni (“troppo tardi per rifarsi una vita, troppo presto per restare a casa”), riesce invece a parlare di noi, di ogni sesso e condizione. Siamo di fronte ad un piccolo capolavoro. Che non è una sorpresa, conoscendo la scrittura effervescente dell’autrice. Analoga speciale menzione per Rita Verdirame, che forgia una piece che è contestualmente gradevole “teatro borghese”, ma rimanda al meglio del teatro moderno (Beckett? E perchè no!?), emergendo con la sua personalità anche nel pregevole foglio di sala.
Bravissime le donne in scena: Loredana Solfizi madre terragna e sensuale, una figura mitologicamente preponderante (Demetra?); Luana Toscano invitta “coscienza” della condizione femminile di ogni età, pronta alla “discesa agli inferi”; Giorgia Boscarino, la “mia” amica di sempre, che aiuta fuorviando; Giada Colonna rende una Ebe (diminutivo?) che gronda sudore e gioventù; Egle Doria, vera e splendida Alice, che riesce ancora a trovare la meraviglia nella vita e nel verde del suo abito gioioso. Tutte infinitamente più belle e più giovani del ruolo
Grande assente l’uomo. Per sua incapacità. Ma forse, ribadendo il concetto di Lo Cascio, .perchè non sappiamo colmare, tra uomo e donna, “la differenza che può spalancare un varco da cui può irrompere un odio smisurato”. Altrimenti l’uomo verrà sempre condannato, in contumacia