Massimo VILLONE* – Berlusconi batte Renzi 4-1 (quanto al resto promesse, promesse…)



Bassa marea*


BERRLUSCONI BATTE RENZI 4-1

Quanto al resto promesse, promesse….


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Renzi dice di aver vinto uno a zero la par­tita sulla legge elet­to­rale. A suo avviso, qual­cuno voleva dimo­strare che pur avendo lasciato a lui il par­tito e Palazzo Chigi, altri ave­vano i numeri. Invece – chiosa Renzi – «i numeri ce li abbiamo noi». La sag­gezza popo­lare ci dice che quando si danno i numeri biso­gna sem­pre essere cauti. Molti non l’hanno pro­prio visto il gol dell’uno a zero per Renzi, e hanno anzi con­tato qual­che pal­lone nella porta del pre­mier. Il pol­ve­rone ultimo sulle quote rosa ha fatto comodo per occul­tare una più com­ples­siva realtà.

A una parte di noi può dispia­cere che non siano pas­sati gli emen­da­menti sulla parità.

Ma la verità è che que­sta legge è pes­sima, e tale rimar­rebbe anche se fos­sero stati appro­vati. È chia­ra­mente inco­sti­tu­zio­nale e in con­tra­sto con i prin­cipi affer­mati dalla Corte costi­tu­zio­nale. Lascia intatte le distor­sioni e le pre­ca­rietà isti­tu­zio­nali che si sono tra­dotte in vent’anni di governo debole, inca­pace di cogliere i biso­gni del paese e tra­durli in indi­rizzo poli­tico. L’omaggio ver­bale al popolo sovrano come domi­nus della scelta dei governi non vale a smen­tire la tor­pida rispo­sta degli ese­cu­tivi di vario colore che si sono suc­ce­duti nel tempo.

Ancora, la legge non rispetta le pro­messe fatte, nem­meno quelle che hanno giu­sti­fi­cato il licen­zia­mento di Letta e il cam­bio a Palazzo Chigi. L’obiettivo essen­ziale della resti­tu­zione della scelta agli elet­tori non è stato rag­giunto, e nem­meno in realtà per­se­guito. Ci sono due modi per rea­liz­zarlo pie­na­mente: un sistema di col­le­gio uni­no­mi­nale, o uno di lista e pre­fe­renza. Dopo tre legi­sla­ture di par­la­men­tari nomi­nati, decenza avrebbe voluto che si sce­gliesse uno dei due. Si può capire il no alla pre­fe­renza, mec­ca­ni­smo secondo molti oggi ingo­ver­na­bile, foriero di costi ele­vati della poli­tica e per­ciò espo­sto a un alto rischio di cor­ru­zione e clien­tela. Ma per­ché non il col­le­gio, che pure lo stesso Renzi aveva ini­zial­mente spon­so­riz­zato tra le opzioni pos­si­bili? Per­ché non – almeno – un sistema misto di col­le­gio uni­no­mi­nale e liste bloc­cate par­ziali, sul modello tede­sco? Qui la rispo­sta è sem­plice e poco com­men­de­vole: per­ché alla fine il col­le­gio non piace a Ber­lu­sconi, che da sem­pre lo ritiene favo­re­vole alla sini­stra, capace di can­di­da­ture più competitive.

I cor­ret­tivi inven­tati per risol­vere il pro­blema e pre­sen­tati di volta in volta come deci­sivi in realtà non danno rispo­ste effi­caci. Tale è il caso per le liste bloc­cate brevi, con l’eventuale foglia di fico delle pri­ma­rie. Qui la domanda è una sola: l’elettore deve poter votare la per­sona, o no? Basta la cono­scenza dei (pochi) can­di­dati di una lista breve, da votare in blocco? La rispo­sta è sem­plice: se si vuole dav­vero resti­tuire la scelta all’elettore, allora la libertà di voto deve potersi eser­ci­tare indi­cando un nome per un seg­gio. Nulla cam­bia se il pac­chetto di pochi nomi da votare in blocco in una lista breve è for­mato attra­verso pri­ma­rie. Si toglie l’individuazione dei nomi all’organizzazione di par­tito, ma non la si dà all’elettore che sce­glie il suo rap­pre­sen­tante nell’urna. Per quell’elettore, il voto rimane vin­co­lato come e quanto lo sarebbe se i can­di­dati fos­sero scelti dal par­tito. Som­man­dosi le liste brevi, è ancora un par­la­mento di nominati.

E che dire delle soglie per i pic­coli par­titi e per il pre­mio di mag­gio­ranza? Qui si mostra vin­cente la stra­te­gia di Ber­lu­sconi, sia verso Alfano che per la Lega. Le regole e le per­cen­tuali si mostrano sin­go­lar­mente atte a favo­rire le stra­te­gie coa­li­zio­nali e di com­pe­ti­zione elet­to­rale del cava­liere. O pen­siamo che siano un caso le dichia­ra­zioni già messe agli atti da Alfano e Casini sul rien­tro a casa nel cen­tro­de­stra? Con il para­dosso dav­vero non banale che Renzi, lar­ga­mente privo di mag­gio­ranza al senato senza i 31 di Alfano, è affi­dato — per la pro­pria soprav­vi­venza e per il suc­cesso del pro­gramma di governo in ter­mini di costru­zione del con­senso — a chi cor­rerà con­tro di lui nel pros­simo turno elet­to­rale. È come se Mont­go­mery avesse chie­sto a Rom­mel in pre­stito i carri armati per vin­cere a El Alamein.

Rias­su­miamo tutto que­sto nell’uno a zero per Renzi, o nel tre o quat­tro a zero per Ber­lu­sconi, con­si­de­rando anche il gol ini­ziale che ha riqua­li­fi­cato il cava­liere come aspi­rante padre della patria? Forse nel ristretto campo del par­tito ha vinto dav­vero, e nem­meno di misura. Non è la bat­tuta di Ber­sani sulla movida che dimo­stra il con­tra­rio. Ma Renzi dovrebbe ricor­dare che non importa se ha la mag­gio­ranza nel par­tito, da lui costruito con, e attra­verso, le pri­ma­rie. Importa se ha una mag­gio­ranza di governo su cui con­tare fino in fondo. E quella non ce l’ha, come dimo­strano ine­qui­vo­ca­bil­mente i numeri del senato, e in sostanza anche i numeri che tra­spa­iono nella bat­ta­glia della camera.

Quindi, ci per­met­tiamo di con­si­gliare pru­denza al nostro focoso primo mini­stro, che per ora vede solo la fine del primo tempo alla camera e si avvia verso una dif­fi­cile ripresa al senato. Diver­sa­mente, affron­terà il peri­colo per lui mag­giore: che il Renzi di Crozza sia più vero del Renzi di Renzi (*ilmanifesto)

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