Francesco NICOLOSI FAZIO- Amar che folle amato amar per Dio (“Borderline in love” di Silvio Laviano, al Canovaccio di Catania)

 

 

Teatro    Lo spettatore accorto

 

 

AMOR CHE FOLLE AMATO AMAR PER DIO

 

“Borderline in love. Studio oltre il confine”.  Da W. Shakespeare, J. Fabre. E. Jung.   Ideazione e regia: Silvio Laviano.  Con: Alessandra Barbagallo, Francesco Bernava, Alice Ferlito, Silvio Laviano, Nicola Alberto Orofino, Alice Sgroi, Vincenzo Spadaro.

Produzione XXI in SCENA. Al Teatro del Canovaccio.

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Coerenza e gioco delle parti, gioco di squadra. La compagnia XXI in Scena ha come tautologico sottotitolo “Il miele della follia”. E lo spettacolo ci classifica e ci convince, grazie a Jung, che siamo un po’ tutti borderline, certamente lo siamo quando cadiamo in amore (anglismo). Questi bravissimi artisti mettono insieme un vero gioco di squadra e/o gioco delle parti; gli stessi, due settimane fa, giocavano a ruoli invertiti nella “Bottega del caffe” allo Stabile di Catania. Anche perché, come sosteneva Strelher, per saper dirigere bisogna saper recitare. Tra attori e registi si è attuata una virtuosa “porta girevole”, che affina i ruoli e rinsalda il gruppo.

Su lacerti della vicenda di Amleto si spalmano piccanti salse di Fabre e Jung. Queste ultime sono sentenze emesse in scena da un putto, che prima accoglie lo spettatore all’ingresso con domande agli astanti sull’amore, primo pegno da lasciare sull’ara dello spettacolo, come nei riti antichi le viscere; subito dopo lasciamo pezzi di cuore e di cervello, entrambi a noi appartenenti; vittime sacrificali. Un teatro forte che oltre a spiazzarci ci scortica, mettendo a nudo le nostre debolezze, il nostro voler/doler amare. La compagnia raggiunge un ulteriore segno di continuità, raccordandosi con l’ultimo spettacolo di impegno, lo splendido “Contaminata” che pur limitando all’universo femminile la ricerca sull’amore, apriva ampi squarci alle tematiche sentimentali di ogni sesso, finora conosciuto. Questa sera, tra gli amori non convenzionali, è espressamente citato nel foglio di sala Marcel Proust, che però, circa un secolo fa nel grande romanzo, dissimulava il suo amore omo per una impossibile Albertine.

Il foglio di sala a firma del regista ci introduce e si immette nel solco della continuità della ricerca e dell’impegno teatrale della compagnia.:“Attraverso la metafora del disturbo di personalità … che ogni essere umano vive ed attraversa ogni volta che subisce l’abbandono o la fine di una relazione sentimentale”. Ma c’è tanto di più: “La Corte di Danimarca come una società di Re e Regine….. vomitati nella nostra società” . Senza l’amore siamo tutti perfidi Claudio e/o Gertrude, oppure degli Amleto, borderline e disadattati. Forse per la psichiatria regnante basta avere un pensiero e si diventa subito oggetto di studio, ma si tratta di una volontà dominante dettata dai canoni atlantici, che vertono al controllo sistematico delle coscienza e della società. Chi pensa è un “diverso” e deve essere “curato”.

Tornando all’opera di Laviano, forse ci sarebbe anche da ridere, ma a nessuno del pubblico viene più di un sorriso, tanto coinvolge la tragedia, artatamente articolata all’uopo. Come Amleto, Silvio, ci “rappresenta” in scena e ci scopre come veri assassini e mandanti della morte del nostro amore. Amore per un altro o per la vita stessa. Non basta a consolarci la impossibile non spiegazione di Jan Fabre in quanto “l’amore si sottrae ad ogni giustificazione, ad ogni spiegazione”. Lo spettacolo avrà vita difficile nel momento attuale di sostanziale repressione ed eliminazione di ogni forma di cultura, riducendo a nulla gli aiuti al teatro e scatenando la magistratura per cercare di eliminarli del tutto.

Ma, fin quando ci è concesso, parliamo di amore, grazie al teatro. Avendo spesso erroneamente idolatrato semplici esseri umani, ci rivolgiamo un po’ più su, tramite il sommo Dante che riusciva a concepire ciò “ che move lo sole e l’altre stelle”. O, come ricorda il titolo parafrasato, capire cosa è la passione, con Paolo e Francesca.

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