Vincenzo SANFILIPPO- Museo D’Orsay. Capolavori al Vittoriano di Roma

 

 

Arti Visive

 


MUSEO D’ORSAY.   CAPOLAVORI AL COMPLESSO DEL VITTORIANO

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Catalogo Skira,Milano- dal 22 febbraio all’  8 giugno 2014- Sessanta Capolavori dal Musée d’Orsay (nella foto) al Vittoriano di Roma

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Un’esposizione storica di tutta evidenza che se da una parte suggella un importante gemellaggio simbolico tra due grandi metropoli dell’arte a livello mondiale, quali Roma e Parigi, dall’altra propone, attraverso l’esposizione di oltre sessanta lavori, il meglio della pittura francese tra il 1848 e il 1914. La mostra, articolata in cinque sezioni, che nasce sotto l’alto patronato del presidente della Repubblica Italiana e si avvale del patrocinio del ministero dei Beni e delle Attività culturali e dell’Ambasciata di Francia, porta per la prima volta a Roma alcune delle più importanti opere. L’ esposizione è stata curata da Guy Cogeval, presidente dei Musées d’Orsay et de l’Orangerie, da Xavier Rey, direttore delle collezioni e curatore del dipartimento di pittura del Musée d’Orsay, e da Alice Thomine-Berrada, capo curatore del dipartimento di architettura del Musée d’Orsay.

La mostra si apre con la storia della modernità artistica preceduta da una presentazione inedita  ed esauriente di tavole progettuali  disegnate dall’architetto Gae Aulenti, dov’è illustrato in modo descrittivo  il progetto di restauro della ex stazione ferroviaria  La Gare D’orsey , divenuta  oggi uno dei musei più importanti al mondo. I progetti di architettura, corredati da foto del cantiere, testimoniano un estensivo restauro mnemotecnico, iter progettuale in cui il senso del “tempo storico” è stato mantenuto come ipotesi di restauro d’elezione. Il manufatto, nel riadattamento  da stazione-ferroviaria a museo,  conserva la vetustà fattuale e dunque la traccia del passato che va dalle diverse origini delle sue collezioni alla costruzione dell’edificio per l’Esposizione Universale del 1900, fino alle trasformazioni successive con una particolare attenzione al fondamentale lavoro di allestimento e museografia realizzato nel 1986.

Questa importante esposizione  stimola molte riflessioni, in quanto il percorso espositivo da una sala all’altra si presenta come un racconto che ci introduce nel regno d’una stupefacente  rappresentazione.  C’è qualcosa di solenne e al contempo nefasto sul filo di un limite da varcare, di un orizzonte temporale che segna la distinzione tra un al di qua e un al di là in questa quadreria d’immagini in successione. Quadri ordinati secondo criteri espositivi che raggruppano i diversi generi pittorici che potremmo  ri-nominare “I piaceri del Musée d’Orsay”, ove notiamo  il memorabile e l’effimero, il sublime e l’insignificante.  Principalmente osservando le varie sezioni vi leggiamo  il sogno collettivo di tante storie artistiche  che tendono ad intrecciarsi simili ad un reticolo di aspirazioni estreme dello spirito e dei sensi tra artisti e letterati.  Questi ultimi li de-scrissero soprattutto nella prosa, quella sui pittori, crocevia inevitabile per tutto ciò che apparve allora sotto il nome di letteratura che noi contemporanei utilizziamo come lacerti di storia della critica d’arte.

Perciò ogni gruppo espositivo cronologico e tematico ci riporta a pagine di letteratura. Baudelaire nel suo saggio  Il Peintre de la vie moderne, supremo feulleton  imperniato su dettagli idiosincratici,  poneva  la seducente pittura di Delacroix ed Ingres e per estensione tematica anche i dipinti di Jean – Jacques Henner,  alla stregua de  La chaste Suzanne ( La casta Susanna) raffigurante una giovane donna che si dedica  con grazia ai progressi della toletta, mentre  compiacente si  fa ammirare i glutei dallo sguardo furtivo di un uomo.  Sorta di preludio a una lunga serie di figure femminili dall’incarnato madreperlaceo, replicate in pittura  come pulsione onanistica dei desideri inappagati.

Sono questi i sogni femminei, erotico-umoristici impliciti ed espliciti del bordello-museo, dove  la decenza dell’ottocento viene nobilitata dall’arte realizzata dagli artisti Accademici della Nuova Pittura, come A. Cabanel, Elie Delaunay, W. Bouguereau, e Gustave Courbet, splendidamente  intrisa di leggerezza, futilità, labile eros riguardo i loro sensuali nudi pitturati con leziosaggine. Espediente estetico per titillare il gusto dei collezionisti pompier dell’epoca, estasiati  di piaceri edonistici del bello che attraverso la mimesis   visualizza una concupiscente  perversione di delizie  finalizzate a saziare quel sogno dove l’azione si svolge in un raffinato boudoir  per signore,  come  sono raffigurate  nei dipinti delle sale del Vittoriano.

Ma è d’obbligo una postilla per opporci a devianti moralismi, oppure a remore di pseudo pudicizia, poiché l’arte non è mai indecente, né perversa, né oscena, né volgare, né peccatrice. L’arte, infatti, non è che sublimazione d’ogni profondità, specchio dell’uomo e delle sue passioni che regnano nell’intimo. Per cui è la mente, si sa, la grande peccatrice. L’erotismo nell’ottocento viene, dunque, inteso quale manifestazione complementare ad altri atti non meno rituali della vita. Proseguendo la visita possiamo affermare che l’aura dell’eros avvolge tutti i dipinti con figure femminili esposte in questa collezione; pertanto cominciamo a chiederci chi possano essere state quelle lascive modelle.

Sappiamo che Degas usava spesso come modelle rivolgersi alle  giovani  ballerine che aveva incontrato all’opera. Questo sembrerebbe elevare al quadrato la probabilità  che qualche   lialison,  anche  fuggevole, sia scaturita tra l’artista e la modella.  Sappiamo che qualche pittore si  sia accasato con una sua modella. Accadde a Renoir, a Monet.  O altrimenti, superando i luoghi comuni, s’instauravano tra pittori e modelle  durature relazioni.  Ad esempio, quando osserviamo il dipinto L’Italienne di Van Gogh il quadro ci riporta a una pagina della vita del grande artista quando arrivò arrivò a Parigi il 27 febbraio 1886 e vi rimase per due anni esatti,  equivalsi per lui ad una vera e propria rivoluzione e non solamente stilistica. Salvo le occasionali visite ai bordelli, Van Gogh a Parigi frequentò per parecchio tempo  Agostina Segatori, una ragazza ciociara che a Parigi  era una delle modelle più richieste dai pittori.

Scorrendo i dipinti  impressionisti, dalle ballerine di Degas ai paesaggi di Pissarro, dai giardini di Monet a quelli di Corot, fino ai ritratti di Renoir, ci vengono in mente le recensioni redatte nei “ i Saloon” di Diderot , che noi ri-leggiamo come parafrasi di ogni critica deambulante, capricciosa, insofferente, umorale e digressiva, dove lo scrittore  si rivolgeva ai quadri come ad altrettante persone, usando quelle immagini   per far zampillare le astruserie del proprio pensiero.

Nella sezione il Paesaggio e la vita rurale che comprende il periodo che va dal dal classicismo all’impressionismo; il paesaggio  acquista uno status di supremazia con gli artisti della scuola di Barbizon che prediligono  dipingere all’aperto “en plein air” dando luogo ai primi veri esperimenti di pittura impressionista; il naturalismo e la celebrazione del mondo contadino; la città moderna e industriale  come Parigi che diventa soggetto privilegiato della “nuova pittura”; l’affermazione di movimenti carichi di spiritualità come il simbolismo; le sperimentazioni che proprio sul finire dell’ottocento oltrepassano l’impressionismo e preparano la strada alle avanguardie del nuovo secolo. Fu proprio lo studio sulle qualità atmosferiche a spianare la strada alle novità dell’impressionismo, inizialmente vilipeso, poi amato e sdoganato con l’ammissione degli artisti ai Salon Parigini.

Altro esempio di riflessione di critica sociale  avviene quando ci troviamo davanti al dipinto  Bergère avec son troupeau , olio su tela 1863 di  Millet, che raffigura una pastorella con il suo gregge. Ci ricordiamo allora delle righe che il sulfureo Baudelaire scrisse: “ queste pastorelle che badano  alle caprette o tosano gli animali, che esprimono profonda rassegnazione al loro modesto ceto,  hanno sempre l’aria di dire con orgoglio: però siamo noi,  povere fanciulle diseredate a fecondare questo mondo”.

La sezione post impressionista si concentra invece sulla pittura simbolista della seconda metà dell’Ottocento di Gustave Moreau  e nell’idealismo utopico di Pouvis de Chavannes,  i quali nell’esplorazione dei segreti legami fra visibile e invisibile cercavano di superare l’esteriorità dell’impressionismo, legando il mondo sensibile della pittura a quello interiore  della letteratura  di Rimbaud e Verlaine,  di Mallarmé e di Valéry. Ciò era fattibile attraverso un dualismo  simbolico riassumibile in una foresta di sortilegi simili ad un sogno di evanescenti illusioni, dove l’eros, nell’accezione allargata della  sessualità,  sembra non  disgiunto da rivoluzionarie pulsioni di  energie creatrici.

Le ultime articolazioni del percorso illustrano le paniche allucinazioni cromatiche pre- espressioniste di Van Googh contrapposte all’esotismo di Paul Gauguin,  altro archetipo di artista alla ricerca di un mondo  puro ed incontaminato. Il percorso continua nella visione simbolista del gruppo parigino dei Nabis, adattamento del termine ebraico “nebiim”, che stava a significare “profeti ispirati”; questo gruppo era capeggiato dal pittore  Paul Sérusier, il quale ricercava il sintetismo cromatico di Gauguin soprattutto in chiave stilistico-formale.   Un ulteriore percorso Neo-Impressionista  sviluppato artisticamente da Seurat e Signac che con la pratica del Pointillisme indagano il rapporto tra arte e scienza, creando attraverso la teoria dei colori nuovi linguaggi  semantico/percettivi destinati a evolvere  il corso dell’arte occidentale.

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