Francesco NICOLOSI FAZIO- Nel tunnel (“Schifo” con F. Fiorito. Teatro del Canovaccio di Catania)

 

 

 

La sera della prima

 

NEL TUNNEL


“Schifo” di Robert Schneider   Regia di Fiorenzo Fiorito   Con Fiorenzo Fiorito.   Catania. Teatro del Canovaccio

 

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Un uomo solo sulla scena, nel perfetto grigio fumoso del palcoscenico, una luce transita nel vano accanto e per pochi istanti delinea meglio l’anfratto, nicchia di una metropolitana tedesca, la “casa” dell’uomo, che continuamente accende e spegne una candela, vicino ad un assurdo fascio di rose rosse, strumento di lavoro.

“Cronache dal sottosuolo”. Come non pensare a Dostoevskij nella speciale visuale di crollo di ogni morale e sogno di civiltà, una visuale che il protagonista Sad (?) offre allo spettatore occidentale, una visuale certamente orientale, dichiaratamente e provocatoriamente manifesta, un oriente volutamente opposto a noi, che reagiamo con la guerra, nella speranza di arginare e rimuovere il problema. Forse il nome del protagonista, se lui è veramente Sad da Bassora, è un diminuitivo di Saddam, definito l’Hitler di questo secolo.

Un’opera cruda, volutamente sgradevole ed aspra, un pugno allo stomaco per provocare (esattamente) inevitabili rigurgiti razzisti, per le tante culture a noi aliene, che non si rassegnano a divenire a noi omologhe, forse perché forti di una cultura millennaria, che inevitabilmente si poggia su valori diversi ai nostri, presunti valori. Tra questi valori il più presunto è la “Verità” che pensiamo solo nostra ed ignota a questi popoli che hanno un concetto assai lieve della menzogna.

Evidentemente lo spettacolo coglie nel segno, non lasciando spazio alcuno alla spettacolarità dell’evento: scena cruda, recitazione scarna, testo certamente verosimile.

Un impegno notevole e molto ben assolto da  Fiorenzo Fiorito che, oltre a recitare e dirigere sé stesso, pone già nella scelta del testo una sfida notevole a noi benpensanti, spettatori borghesi che al teatro vogliamo solo divertirci. Mentre l’attore, con una recitazione apparentemente impulsiva, ci fa scendere nella voragine metropolitana della perfetta Germania che comunque ingloba ed accoglie il migrante, anche grazie all’esperienza diretta dell’attore-regista nelle attività multiculturali. Ecco che sulla scena il clandestino giustamente rinfaccia al popolo tedesco di avere perso la poesia di Schiller e di tradire la grande cultura europea.

Forse è proprio così, e quindi è inutile vincere le guerre se non ci accorgiamo di aver perso la cultura, a vincere non saremo più noi, una volta cristiani, ma qualcosa che forse neanche più ci somiglia, stravolti come siamo dall’indifferenza e dall’odio.

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