Sauro BORELLI- “Venere in pelliccia”, un filmdi R. Polanski


 

 

Il mestiere del critico

 

 

UN PALCOSCENICO SADO MASO

In “”Venere in pelliccia”  di R. Polanski

 

Polanski ha appena doppiato (nell’agosto scorso) il temibile capo degli ottant’anni. Ma non per questo ha minimamente coltivato l’idea di abdicare dalla sua passione dominante: il cinema. E ancor più a quelle sue storie intrise a metà di cruente vicende, a metà di sarcastici apologhi destinati a sublimarsi nel dissidio radicale di sempre, la passione amorosa e il cupio dissolvi. Il tutto condito con espedienti narrativi virati di volta in volta nella sfida eterna tra i sessi o, ancora, nella metafora arcaica della caducità delle cose umane.

Dal Coltello nell’acqua (1962) suo esordio (polacco) nel lungometraggio a soggetto, a Carnage (2011) penultimo film della sua prolifica e fortunata carriera, Polanski ha praticato da sempre un’assidua dedizione al cinema, specie quello trasgressivo e talvolta persino granguignolesco dove, appunto, i sentimenti, le passioni, i fatti e i fattacci si mischiano giusto per approdare, alla fine ad apologhi più o meno cruenti, più o meno rovinosi, ad una moralità insieme inquietante e ambiguamente doppia.

Le radici di simile attitudine di Polanski nel prospettare le sue realizzazioni si chiariscono subito solo che si pensi alla sua personale, tragicissima parabola esistenziale: sopravvissuto per puro caso, ancora bambino, ai campi di sterminio nazisti (ove trovò la morte sua madre), questo ragazzo polacco, presto esule in Europa e quindi in America, fu salvato letteralmente dal cinema cui si dedicò appassionatamente fin da adolescente. Inoltre, a Hollywood, cineasta ormai collaudato e celebre, la sua vita venne funestata dall’orribile fine della moglie Sharon Tate (uccisa dalla banda Manson) e da penose esperienze in seguito all’accusa e alla conseguente condanna per l’infamante reato di stupro ai danni di una minorenne.

Più tardi, riparato in Europa, Polanski riprese con profitto il proprio lavoro in Inghilterra, in Francia. Nonostante ciò, ebbe a subire recentemente anche qui le conseguenze del suo grave errore. E da poco, Polanski, emendatosi da quei brutti trascorsi, ha potuto firmare, oltre al citato e riuscito Carnage, il suo nuovo Venere in pelliccia, desunto dalla pièce dell’americano David Ives e interpretato nei due soli ruoli centrali da Emmanuelle Seigner (Wanda) e da Mathieu Amalric (Tomas) con prestazioni davvero superlative di una traccia continuamente svariante tra verità e finzione, passione e risentimento.

L’incipit di Venere in pelliccia, appunto il film in questione, è per sé solo indicativo: la cinepresa s’incunea in un lungo viale alberato, in una tetra serata di pioggia. Tra lampi e tuoni. Poi, s’arresta dinanzi all’ingresso d’un teatro, penetra all’interno e coglie un esausto regista (Thomas) che, conclusi i provini per scegliere gli interpreti d’un nuovo spettacolo, s’appresta a tornare a casa un po’ frustrato non avendo trovato ciò che cercava. In quel frattempo, ciabattando e berciando, sopraggiunge una ragazzaccia proterva, malvestita e affannata che rivendica subito, benché in grave ritardo, la possibilità di fare anch’essa il provino per la pièce in allestimento.

La discussione col regista si fa subito accesa, anche se di momento in momento affiora una progressiva metamorfosi tanto nella ragazza Wanda, quanto nel regista Thomas. La prima si rivela presto molto più provveduta, in tutti i sensi, della ragazzaccia dell’inizio e, per contrasto, il regista si fa progressivamente più arrendevole e sensibile alle ragioni dell’aspirante attrice. Anzi, s’innesca in questo modo un destabilizzante gioco delle parti che – sulla traccia originaria del romanzo ottocentesco Venere in pelliccia di Leopold von Sacher-Masoch in cui è esemplificata la vicenda della classica “guerra dei sessi” – di dettaglio in dettaglio comincia a prefigurare l’antica disputa che, ben al di là di risolversi in una acquietata composizione del dissidio tra i due contendenti, si scioglie, inconclusa e spenta, nel vicendevole abbandono di ogni superstite pretesa di prevaricazione dell’uno sull’altra e viceversa.

Strutturato con rigorosa sapienza dei tempi, dei dialoghi brillanti, fittissimi, Venere in pelliccia risulta, a parer nostro, il miglior film di Polanski, dopo il pur splendido precedente del Pianista. Quanto agli interpreti, come si diceva, Emmanuelle Seigner (devota compagna di Polanski) e Mathieu Amalrich danno qui dimostrazione piena della loro sensibilità espressiva e drammaturgica. Insomma, Polanski è bravo, si sa, ma qui ha superato se stesso.

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