F. Gi.- Senza commiati (“Il passato”, un film di A. Farhadi)
Lo spettatore accorto
SENZA COMMIATI
“Il passato”, un filmdi A. Farhadi
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(comingsoon)- Come già nel precedente Una separazione, anche per quanto riguarda Le passé (ovvero, “il passato”) nel titolo c’è tutto.
E come già in quel film, qui Asghar Farhadi, questa volta con capitali e ambientazione francese, racconta la vita, nella sua complessità e nelle sue contraddizioni.
La vita e il suo procedere discontinuo, pieno di accelerazioni e brusche frenate, di progressioni e involuzioni, proprio per via di quel passato che ci forma, ci condiziona, ci rinforza, ci zavorra e dal quale è così difficile emanciparsi. Questo procedere sincopato e discontinuo, Farhadi lo applica anche a un film che è scritto e girato con una maestria classica, soave e priva di ogni sforzo apparente, in grado di dare la massima impressione di realtà proprio laddove le strutturazioni visive e narrative sono notevoli e complesse, come l’alternarsi di personaggi e vicende.
È grazie a questa capacità, anche, che l’intrecciarsi complesso di vicende intime e familiari che Le passé racconta, scatenate dal ritorno a Parigi di un uomo che deve firmare il divorzio alla ex moglie che ha trovato un nuovo compagno, non sembrano affatto quelle di una soap opera (come forse sarebbe potuto essere con un altro regista dietro la macchina da presa) ma assumono un tasso di realtà e di universalità tale da essere capace di coinvolgere e commuovere.
È proprio questa apparente impeccabilità, forse, a rappresentare l’unico limite del film di Farhadi: la vita, quella che lui racconta, impeccabile non è, e a Le passé manca leggermente, più nella messa in scena che nel contenuto, quella ruvidità imperfetta capace di segnare in maniera ancora più incisiva l’occhio e il cuore di chi guarda.
Ma negli occhi e nel cuore, come altrove, rimangono forti le parole, i gesti, i dettagli: tutti impeccabili e dal peso specifico elevatissimo, capaci di raccontare gli equilibri e gli squilibri dei rapporti tra le persone e di evocare abissi di consapevolezza.
Farhadi poi, coerentemente con quanto racconta, non cede alla tentazione di proporre soluzioni o pianificazioni: perché non sarebbe giusto, non sarebbe credibile, non sarebbe “vero”.
Perché la soluzione è in un futuro non conciliabile con il ricordo (passato) di una visione.
Perché il passato, come insegnano le dinamiche del film, è quasi impossibile da definire stabilmente tale, per via del suo costante e testardo riaffiorare nel presente.
Perché sa, come fa dire al personaggio secondario di Babak Karimi, per liberarsi dal passato è necessario e indispensabile un taglio netto: “la vita va avanti senza di noi”, aggiunge.
E allora, dalle vicende e dai personaggi Farhadi ci separa così, senza un vero commiato, lasciandoci sospesi nel dubbio, quasi bruscamente. Cut. The End. Il vita e il cinema vanno avanti (senza di noi).