Franco LA MAGNA- Tre film recenti (Ozon, Kechiche, Polanski)

 

 

 

 

 

Lo spettatore accorto

 


TRE FILM  RECENTI

Da Ozon a Polanski

 

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Giovane e bella (1013) di Francois Ozon. Cosa induce Isabelle – adolescente dalla vita apparentemente normale – a svestire i panni di studentessa e quelli di figlia un po’ svogliata e annoiata d’una famiglia borghese come tante, quindi ad indossare tacchi alti e gonna a tubino (nascosti in una sacca) per avviarsi “candidamente” – del tutto priva di remore morali – alla prostituzione? Il prolifico francese Ozon, dalla vena eclettica (per quaichento un’inclinazione verso un tipo d’adolescenza fuori dagli schemi sembra attrarlo più d’ogni altro interesse), si limita a porre algidamente, come la sua protagonista, un problema che diventa ogni giorno di più un vero e proprio dramma generazionale. Non tanto, per quanto rabbrividente, quello della prostituzione minorile (è di questi giorni lo scandalo romano delle ragazzine in vendita a 300 o 500 euro), quanto quello del “vuoto di senso” che sembra colare come pece su tutta una generazione incapace di spingere lo sguardo oltre la banalità del quotidiano, disadattata e priva di progettualità, spinta  verso un “nichilismo di necessità”, facile scorciatoia da imboccare per un’apatica sopravvivenza in un mondo sostanzialmente indifferente. Nel fondo, certo, si agitano famiglie prive d’autorevolezza morale, genitori incapaci d’imporre una guida certa e valori in cui credere (quella originaria della ragazzina tra l’altro si scoprirà con i genitori separati), le nuove incontrollate tentazioni mediatiche alla “devianza” (internet sopra tutte, a cui Ozon però non da eccessivo peso), una scuola non più capace di porsi come agenzia educativa, il mondo corrotto degli adulti e via discorrendo. Ma in “Giovane e bella” – diviso in quattro capitoli che segnano il passaggio dalle illusioni dell’infanzia chiaramente rappresentato nella sequenza della perdita della verginità in spiaggia (in cui Isabelle si vede osservata da se stessa) alla spietata durezza della realtà – tutto questo è come esiliato sottotraccia e l’esistenza buia della doppia vita amorale di Isabelle (per quanto ella stessa tenti inutilmente di capirsi pagando sedute di psicanalisi) e le sue scelte (smetterà? tornerà a farlo?) resterà alla fine un mistero insondabile, ingiudicabile, come la fragile e precaria vita di ogni essere umano.                                                                                              Interpreti: Marine Vacth Géraldine PailhasFrédéric PierrotFantin Ravat Johan LeysenCharlotte RamplingNathalie RichardDjédjé Apali Lucas Prisor Laurent Delbecque Jeanne Ruff Serge HefezHYPERLINK “http://trovacinema.repubblica.it/attori-registi/serge-hefez/433878”.HYPERLINK “http://trovacinema.repubblica.it/attori-registi/serge-hefez/433878”

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La Vita di Adele (2013) di Abdellatif Kechiche. La consapevolezza della “diversità” (se ancora è possibile definirla tale) tormentosamente raggiunta da Adele, adolescente colta “in progress” negli snodi essenziali della propria esistenza: la scoperta dell’omosessualità, la fine della formazione scolastica, l’ingresso nel mondo del lavoro, la maturità. Il sopravvalutato franco-algerino Kechiche, osannato a Cannes da Steven Spielberg (presidente) e proclamato “Palma d’Oro”, torna a centrare il bersaglio (dopo il pur modesto ma altrettanto celebrato “Cous Cous”) mettendo in scena – come mai prima d’ora per crudezza d’immagini – uno straziante amore lesbico fatto di vertiginose vette passionali e di rovinosa caduta. La “piccola” Adele di provenienza piccolo-borghese a 15 anni s’innamora inguaribilmente (dopo una rapida perdita di verginità con un compagno di scuola) della raffinata Emma dai capelli blu, pittrice engagè controcorrente cresciuta a base di ostriche e molluschi in una famiglia di più alta estrazione sociale e di ben diversa apertura mentale) con la quale vive un intenso amour fou.                                                                                      L’attrazione fisica funziona per qualche tempo finché Adele (sentendosi trascurata) si concede ad un collega di lavoro. Scoperta da Emma viene malamente cacciata di casa e definitivamente dalla sua vita. Si rivedranno, malinconiche e piangenti, ma nonostante l’estremo, lancinante, tentativo di Adele di riprendere il passato rapporto, Emma (già legata ad un’altra donna) dolorosamente rifiuta. Tratto dal settecentesco  “La vie de Marianne” di Marivaux e dal fumetto “Le bleu est une couleur chaude” di Julie Maroh, la “La vita di Adele”, giustamente definito dallo stesso regista un film su una passione d’amore e non sull’amore lesbico (che si dimentica nel corso del racconto), indugia però lungamente ed inutilmente sui convegni saffici delle due donne (poi definiti dalle attrici come un incubo), mostrando ripetutamente un intreccio di corpi nudi, iterazioni d’orgasmi e sdilinquiti sbaciucchiamenti, dilatando il film fino alla fluviale e insopportabile durata di tre ore. Forse (a parte le concessioni plateali) per la paura di non poter dare all’ossessione erotica il rilievo voluto. Ottima la prova delle due attrici, convinte da Kechiche (che ha cambiato il nome originario di Marianne in quello vero della protagonista) ad abbracciare il metodo Stanislawskij.                                                                                Interpreti: Adèle Exarchopoulos Léa SeydouxJeremie Laheurte Catherine Salée Aurélien RecoingSandor Funtek Karim Saidi Baya Rehaz Aurelie Lemanceau Benjamin SiksouFanny Maurin.

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Venere in pelliccia (2013) di Roman Polanski.

Thomas è un regista teatrale che sta cercando l’attrice giusta per il ruolo di Vanda nel suo adattamento per le scene del romanzo «Venere in pelliccia» di Leopold Von Sacher-Masoch. Arriva in teatro fuori tempo massimo Vanda, un’attricetta apparentemente del tutto inadatta al ruolo se non per l’omonimia. La donna riesce a convincerlo all’audizione e, improvisamente, Thomas viene attratto dalla trasformazione a cui assiste. Dopo poche battute si accorge che nessun’altra può aderire come lei al personaggio. Ha così inizio un sottile e ambiguo gioco a due.

Arte e vita. Realtà e finzione. Capovolgimento dei ruoli. Ossessioni e oscure pulsioni. Tratto da un pièce teatrale di David Ives (rappresentata con successo tre anni fa a Broadway, incontestato tempio di successi mondiali), basata sul romanzo erotico scritto nel 1870 da Leopold von Sacher Masoch (che ha lasciato al mondo l’aggettivo “masochista”), “Venere in pelliccia” con lo stesso titolo è ora un film imperdibile firmato dall’ormai ottantenne francese di genitori polacchi Roman Polanski, che  affida alla sua molto più giovane moglie (Seigner) il ruolo di questa venere proto femminista, tanto volgare nella vita, quanto sensuale e aristocratica nel ruolo di Vanda (che sia lo stesso personaggio di Masoch, improvvisamente materializzatosi e riapparso per una vendetta postuma sull’attonito regista e drammaturgo Thomas?). Un gioco al massacro che incolla lo spettatore in un crescendo sadomaso, a tratti disturbante, nonostante l’ambientazione teatrale (che invece di mortificare, al contrario esalta la location) e due soli personaggi in scena (ma “Carnage” docet), fino all’apoteosi della dea vincitrice che come una baccante euripidea scaglia sul suo novello e disfatto Penteo una dionisiaca revanche.                                                                 Interpreti: Emanuel Seigner e Mathieu Almaric (non a caso scelto per la straordinaria somiglianza con lo stesso Polanski)

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