Sauro BORELLI- Da Marivaux all’amore gay (“La vita di Adele”, un film di A. Kechiche)


Il mestiere del critico


DA MARIVUX ALL’AMORE GAY

“La vita di Adele”, un film di A. Kechiche


A proposito del settecentesco Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux (1688-1763) si parlò sempre della sua attitudine, da un lato, alla riflessione morale e, dall’altro, alla commedia dei sentimenti e all’analisi psicologica. In tal senso esemplare risulta il romanzo La vita di Marianne (1731) ove il “ragionar d’amore” si mischia indissolubilmente coi modi e i costumi ambiguamente equivoci (e reversibili) d’una società ipocrita quale quella di quei tempi con l’esito certo d’un malessere tanto pubblico che privato persistente, invasivo.

Significativo è dunque il fatto che proprio Marivaux e il suo non dimenticato scritto La vita di Marianna siano tirati in campo reiteratamente nel nuovo film del cineasta franco-tunisino Abdellatif Kechiche (Cous cous, Venere nera, ecc.) La vita di Adele, incursione dettagliatissima, insistita sulle vicende erotico-sentimentali dell’adolescente Adele e della più matura Emma ritagliate nell’ambientazione piccolo borghese della provinciale Lille.

Oltre, a Marivaux, in questo stesso film vengono evocati i nomi, i caratteri letterari di altri maestri dell’intellighentsia francese – del passato e di appena ieri – quali Choderlos de Laclos (Le relazioni pericolose) e Sartre, giusto nell’intento di individuare il contesto sociologico-culturale dei personaggi centrali e dei comprimari che emergono via via nel dispiegarsi dell’amour-passion di segno fiammeggiantemente omosessuale della Vita di Adele. Dunque, in particolare, l’innesco di quello che potrebbe essere definito qui l’apologo quasi didascalico “dell’ascesa e della caduta” dell’incantamento tra la giovane Adele e l’esperta Emma si verifica come evento del tutto predestinato tra scafate liceali e un milieu di lesbiche ben consapevoli della loro condizione.

L’approccio per simili esperienze sembra decisamente casuale, ma presto il crescere, il deflagrare di un furioso rapporto erotico disvela, altresì, la complessità, la caducità di un legame che, per saldo che sembri, palesa le discrepanze, le contraddizioni che minano un ménage assolutamente impervio sia per l’appassionata Adele sia per la riflessiva Emma. La prima, legata a una famiglia e a un ambiente proletari sprovveduti culturalmente, mentre la seconda più attrezzata come donna e come artista, si muove agevolmente tra occasioni e luoghi sofisticati.

Ciò che, peraltro, non pregiudica – fino a un certo punto – l’amour fou che coinvolge entrambe in un esclusivo, torrido trasporto sessuale, perlustrato, indagato con irruenta, disinibita solarità, quasi in un cupio dissolvi totalizzante e ossessivo. Fintantoché anche questa univoca passione trova, prevedibilmente, un intoppo destinato a sovvertire radicalmente l’amore delle due vissuto ostentatamente fino all’ultimo respiro. Oggetto di simile soprassalto è la scoperta da parte di Emma che la più fragile Adele, in una crisi di solitudine, si è data anche ad un ragazzo suo amico e coetaneo.

Pianti e strepiti a non finire, poi la separazione drammatica delle due. E quindi, dopo un distacco prolungato, l’ormai pittrice di successo Emma e la sprovveduta maestrina Adele si ritroveranno fugacemente, per abbandonarsi del tutto in un acquietato epilogo fatto di buone maniere e di sconsolati rimpianti. Giusto come, a suo tempo, il saggio Marivaux aveva preconizzato tanti e tanti anni fa.

Abdellatif Kechiche è un bravo cineasta – non a caso, anche con qualche prodigalità, gli è stata assegnata la Palma d’oro di Cannes 2013 proprio per La vita di Adele – che quale sua precipua caratteristica ostenta nei suoi film (anche nel citato Cous cous) un’acribia dispiegata nel prospettare snodi e progressioni di vicende sostanzialmente convenzionali e, in realtà, intensivamente raffigurate come fossero costantemente la strenua riflessione di casi-limite. E’ appunto ciò che accade in Vita di Adele, pur se, al di là della ottima prova di Adèle Exarchopoulos e Léa Seyodoux negli impervi ruoli di Adele e di Emma, si dispiega in tre ore di proiezione un mestiere più che maturo, personalissimo.

Un’ultima osservazione merita, d’altronde, La vita di Adele relativamente allo spunto drammatico che l’ispira e, ancora più, nei momenti strenui d’uno spettacolo per tanti versi parossistico come gli incontri erotici più movimentati. Eric Rohmer, caposcuola incontrastato del marivaudage, ha raccontato a suo tempo, specie nel ciclo dei Racconti morali, scorci non meno audaci dell’amour fou, ma, come nello smagliante La mia notte con Maud (interpreti Trintignant e Françoise Fabian assolutamente impareggiabili) senza ostentare minimamente alcuna suggestione troppo osée. Certo Rohmer è Rohmer, mentre il pur bravo Kechiche resta, per ora, soltanto Kechiche.

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