Sauro Borelli- In cerca di sè (“Un giorno devi andare” un film di G.Diritti)

 

Il mestiere del critico

IN CERCA DI SE’

Locandina Un giorno devi andare

 

 

“Un giorno devi andare”, un film di Giogio Diritti

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Augusta è una donna ferita perché interdetta dall’essere madre e, poi, dal conseguente fallimento del proprio matrimonio. Quindi, vulnerata a fondo nelle proprie aspirazioni, abbandona Trento, la sua città, e la famiglia (la madre ansiosa, la nonna dispotica) e parte alla volta del Brasile, di un altrove tutto da scoprire. E’ qui, in effetti, che echeggia il richiamo verso una rigenerazione, una scoperta di sé nuova, insospettata. Prima, al seguito di Franca una stoica suora missionaria interamente dedita a soccorrere (forse arcaicamente a “evangelizzare”) le indigenti comunità di nativi disseminate negli sconfinati spazi della foresta amazzonica; poi, a Manaus, nelle favelas popolate solo di miseria e abbandono dei reietti d’una società basata sul lucro, la speculazione, lo sfruttamento.

Dopo l’iniziale esperienza al fianco della prodiga, disponibile suor Franca, Augusta sente con insofferenza quel ruolo caritativo esercitato in concorrenza con altri religiosi di diverso credo e, ben decisa a cercare un più alto significato alla propria esistenza, si impegna giorno dopo giorno, nel lavoro umilissimo e nel darsi intieramente per soccorrere gli altri, specie i bambini, a trovare un  senso davvero intenso, autentico alla vita.

C’è in questo peregrinare tra luoghi e figure segnati da un’inguaribile fatica di campare, una sorta di non detta, inconsapevole acribia di costruire, inventare qualcosa che dia prospettiva e futuro a una ricerca che non è soltanto inappagato fervore esistenziale, ma proprio e specificamente una scelta radicalmente “altra” di vivere la propria vita secondo idealità, speranze, convinzioni più rispondenti a una verità dei fatti, della realtà quotidianamente verificabile.

E’ certo, comunque, che tutto ciò affiorante dal film Un giorno devi andare, terza e riuscita prova di Giorgio Diritti, non si estrinseca né per immagini, né per dialoghi o suggestioni troppo esplicite, ma secondo una progressione precisa innescata con refrattaria scansione narrativa che, nell’ambientazione degli sconfinati spazi di foreste e fiumi abnormi, prospetta e dispiega una sensazione del creato minacciosa e improvvida. Tutto è inospitale, tutto s’impone come l’ignoto, soltanto la povera gente e in ispecie gioiosi bambinetti danno una parvenza di serenità a luoghi e condizioni assolutamente spossessati d’ogni bene. C’è in questo universo della più totale povertà un sentimento del vivere che fiorisce, nonostante tutto, dalla residua volontà di non abdicare alla propria umanità, seppur muta, inespressa.

Risulta proprio questo anche il destino di Augusta che, esitante, disorientata in quel mondo incongruo, fors’anche inconoscibile, tenta, ritenta di trovare senso e finalità percepibili alla propria ricerca non soltanto della sua più vera indole, ma altresì ad una coerenza sostanziale del mondo, della convivenza quotidiana. E’ così che, dopo le esperienze in qualche modo infruttuose vissute al fianco di suor Franca e delle defaticanti giornate nelle favelas di Manaus, Augusta si ritrova, ancora più sola e disorientata, su una desolata spiaggia, confortata soltanto dalle affettuose attenzioni di un bambino.

Frattanto, però, un’altra vicenda s’inserisce in parallelo nella storia di Augusta. Una quasi coetanea ragazza india, Janaina, seguendo l’esempio della buona suora Franca parte alla volta dell’Italia, proprio a Trento, città ove madre e nonna della stessa Augusta vivono e soffrono sempre in ambasce la sua lontananza. E, per singolare coincidenza di esperienze, la stupefatta Janaina vive, soffre la propria “estraneità” in quel luogo per lei alieno e, soltanto, in una “preghiera del corpo” troverà consolazione e ragione di quel destino impietoso: “Ringrazio le tue mani che hanno lavorato e cucinato, il tuo sesso che ha regalato piacere e gioia, il tuo ventre che ha donato la vita…”.

Rispetto ai precedenti film, Il vento fa il suo giro (intensa apologia di uno scorcio contadino poverissimo) e L’uomo che verrà (esemplare evocazione della strage nazista di Sant’Anna di Stazzema), Giorgio diritti non si “strania” minimamente dal racconto e dai suoi momenti-cardine, ma piuttosto sembra cristallizzare in una stanca abulia figurativa vicende e personaggi di una memorabile odissea degli umiliati e offesi di sempre. Tra tutti, il peso e l’incisività della presenza di Jasmine Trinca (Augusta) confluisce a Un giorno devi andare una verità, un risalto pressoché perfetti

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