Dorme sulla collina- Enzo Jannacci, musicista, medico, poeta, attore

 

 


Dorme sulla collina

 

ENZO JANNACCI

Enzo Jannacci

Musicista, medico, poeta, attore

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Con quella sua maschera perennemente sbigottita, tramortita, ai limiti del catatonico, indossata per dissimulare  la sua indole arguta e sensibile, goliardica ma insurrezionale(dinanzi alla miseria,alle soverchierie, alle imbalsamate beffe e promesse non mantenute della vita), ‘l’ Enzo’ se ne è andato sorridendo. Col suo sorriso ghigno, stralunato, assurdo, protestatario, venato di profonda tristezza- che il trascorrere del tempo aveva umanizzato in malinconico spessore e commossa indulgenza . Aveva 77 anni ma non è mai invecchiato Jannacci, il cantautore, il provocatore, il dottore. L’autore di canzoni che sono diventate slogan dal celebre Vengo anch’io, a Quelli che, diventata una sorta di marchio televisivo. All’Armando, alla splendida Messico e nuvole, Ci vuole orecchio, a Ma mi, scritta con Strehler, a Ho visto un re scritta con Dario Fo. Personaggio assurdamente originale, anomalo e fuori dal coro, faceva il musicista con lo spirito dell’amatore, pronto a virare, a distinguersi dagli altri. E forse proprio quell’avere conservato la passione per l’altro mestiere, quello vero, del medico (era diventato cardiologo specializzandosi con Barnard), gli aveva consentito di avere una leggerezza, una superiorità rispetto alle cose quotidiane del lavoro di cantautore che traspariva in ogni sua performance e in ogni suo disco, ingrediente fondamentale, assieme al suo talento.

Anche fare il medico era una missione e Enzo l’ha portata avanti fino alla pensione: lasciò l’ospedale il primo gennaio del 2003, nel giorno della morte dell’amico di una vita, Giorgio Gaber. Il compagno incontrato all’Istituto classico Manzoni, quando già amava la musica e suonava, anche con una certa destrezza, il pianoforte. Per prima cosa Enzo Jannacci divenne un ragazzo del jazz, in anni, a metà Cinquanta, in cui la scuola milanese era piena di giovanotti di buone speranze (e in alcune di quelle nottate gli capitò anche di incrociare grandi maestri come Chet Baker, Gerry Mulligan e Stan Getz). Dal jazz al rock and roll il passo fu breve. D’altra parte proprio in quei tempi cominciava ad aleggiare il vento del grande Elvis e uno come Enzo non poteva restarne indenne. Nel 1956 diventa tastierista dei Rocky Mountains, band che aveva come cantante Tony Dallara. L’anno dopo conosce Adriano Celentano e entra nel suo complesso, i Rock Boys, con cui partecipa al primo Festival italiano di rock and roll italiano al Palazzo del Ghiaccio: in quella sera Enzo assieme a Adriano suona Ciao ti dirò, che ha il testo di Gaber. La canzone, orecchiabile e incalzante, è uno dei primi successi rock italiani e per Jannacci significa il primo contratto discografico e la nascita di una ditta, i Due Corsari, proprio con l’amico Giorgio. Sono scatenati, simpatici, dinoccolati e il loro modello palese è il grande Presley. Gli anni Cinquanta sono felicissimi e ricchi di talento all’ombra della Madonnina. E non solo per la musica. Eccolo girare nell’ambiente del cabaret, in quello del cinema (ha lavorato con Ferreri e Monicelli) e in quello del teatro (nel 62 ha partecipato a Milanin Milanon con Tino Carraro e Milly).

Insomma, mette a fuoco un’ampiezza espressiva dove l’esuberanza strumentale e vocale si coniuga alla ricchezza degli incontri (da Dario Fo a Umberto Eco, Beppe Viola, Paolo Rossi, Cochi e Renato) e di una solidarietà intellettuale che ha nella milanesità il riferimento centrale, una Milano popolata di personaggi bizzarri, ma attenta a volgere il suo sguardo al mondo dei diseredati. Il risultato è una varietà fuori dai canoni che ha fatto di Jannacci un personaggio impossibile da catalogare, capace di ispirare gli altri, pronto a sfuggire ad ogni etichettatura ma anche alle lusinghe del successo facile. Così, quando il successo effettivamente arrivò, con Vengo anch’io che nel ’68 divenne una sorta di tormentone nazionale, Enzo continuò a muoversi allo stesso modo: imprendibile, incurante dei meccanismi che in quei casi l’industria ti fabbrica addosso (anche quando li frequentava, da Canzonissima a Sanremo), sempre irrefrenabile con la sua energia esuberante. Un’energia che aveva straordinariamente conservato anche negli ultimi anni quando, ormai malato di cancro, non rinunciava, appena ne aveva la possibilità, ad accettare gli inviti che continuavano ad arrivargli, felice di poterli accogliere col suo sorriso da bambino che conserva lo stupore del mondo.  (m.molendini-ilmessaggero)

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